L’uscita degli Stati Uniti dal Trattato INF riguarda anche la Cina
Qualche giorno fa, Donald Trump ha annunciato il ritiro degli USA dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty). Alla base della scelta ci sarebbe la violazione dell’accordo da parte della Russia. “I russi hanno violato l’accordo, lo violano da molti anni – ha dichiarato il presidente americano a Elko, in Nevada -, non so perché Obama non ha negoziato o ritirato, e non lasceremo che violino un accordo nucleare“.
Immediata la reazione di Mosca che, attraverso le parole del vice ministro degli Esteri, Sergei Ryabkov, ha definito la mossa americana “molto pericolosa“, una decisione che verrà “condannata” dalla comunità internazionale. Gli fa eco il ministro della Difesa, Sergej Shoigu, che definisce le accuse americane “vaghe e infondate”.
Che cos’è il Trattato INF?
Il Trattato INF è un accordo stipulato nel 1987 dall’allora presidente americano Ronald Reagan e dall’allora segretario generale dell’URSS Mikhail Gorbaciov. In sostanza, l’intesa vieta lo schieramento in Europa di missili balistici terrestri a medio raggio (500-5.000 chilometri di gittata). All’epoca, inoltre, portò allo smantellamento di missili da crociera Tomahawk e balistici Pershing 2 statunitensi e SS 20 sovietici, oltre a bloccare la corsa al riarmo missilistico e nucleare. Statistiche alla mano, furono distrutti 2.692 missili (846 statunitensi e 1.846 russi). Ancora oggi, questa sottoscrizione viene considerata come la prima pietra della fine della Guerra Fredda.
Attualmente, però, secondo gli USA, Mosca avrebbe sviluppato dei missili da crociera e balistici Iskander e un nuovo missile da crociera a propulsione nucleare, in grado di abbreviare il tempo di volo, così da esser classificati come missili a raggio intermedio. La scelta russa, prima ancora, deriva dall’ipotesi che gli Stati Uniti uscissero da un altro accordo. Stiamo parlando del Trattato ABM, siglato tra USA e URSS nel 1972, che limita le difese antimissile da ambo le parti, così da frenare la diffusione delle armi nucleari. Per questo motivo, Putin avrebbe cercato di bilanciare i conti militari, visto che la Russia non è in grado di eguagliare il sistema di difesa missilistica multistrato americano.
Fuori gli USA: quali i possibili scenari futuri?
Al momento, il consigliere per la sicurezza nazionale USA, John Bolton, è andato a Mosca dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, per organizzare un summit tra Trump e Putin. La prima data utile sarebbe l’11 novembre prossimo, in occasione del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale. Un alto funzionario dell’amministrazione USA, però, indica come possibile data quella dell’incontro del G20, dal 30 novembre al 1° dicembre.
In campo militare, invece, qualche preoccupazione resta. Se gli USA usciranno definitivamente dal Trattato INF, Trump potrebbe posizionare nuovi missili in Europa. Dalla parte occidentale, verrebbero coinvolti Italia, Germania, Olanda e Paesi Bassi. Dalla parte orientale, si parla di Polonia, Romania, Repubblica Ceca e Ucraina.
“Se gli Stati Uniti ipotizzassero l’installazione di missili intermedi in Europa, per Mosca non sarebbe solo inaccettabile, ma sarebbe considerato un atto di guerra“, ha dichiarato Dmitrij Suslov, stratega di Vladimir Putin, direttore del Centro di studi europei e internazionali della Scuola superiore di economia di Mosca, in un’intervista a Il Corriere della Sera.
Cosa c’entra la Cina?
Oltre allo scontro con Mosca, l’uscita degli USA dal Trattato INF riguarderebbe anche il “contenimento americano della Cina“, afferma Suslov. “Sulla prima è chiaro che, nei prossimi mesi e anni, gli Usa intensificheranno la politica di confronto duro con la Russia: sanzioni, corsa al riarmo, spiegamenti di missili, sabotaggio dei rapporti di Mosca con i partner tradizionali. L’idea è che a un certo punto la Russia cederà e comincerà a far concessioni invece di rispondere colpo su colpo. Sulla Cina, Trump si preoccupa poiché, non essendo contraente dell’INF, Pechino può sviluppare e installare ordigni a medio raggio nel Pacifico“.
Questa teoria è avvallata dalla strategia anti-access/area denial che Pechino opera nel Mar Cinese Meridionale: in sostanza, le portaerei americane sono tenute fuori da una zona nevralgica dell’Oceano Pacifico. Trump, però, potrebbe prendersi la libertà di posizionare dei missili balistici nei pressi della nazione cinese, come in Taiwan, Corea del Sud e Giappone.
Lo stesso primo cittadino americano ha parlato apertamente della questione cinese. Secondo The Donald, la Russia e la Cina dovrebbero andare dagli USA e dire: “Siamo intelligenti e nessuno di noi sviluppi quelle armi“. Suslov, però, conferma che “la Russia ha detto e ripetuto di essere disposta a discutere, ammettere verifiche, test e controlli, anche con la partecipazione di esperti stranieri, che potrebbero provare l’assenza di violazioni dall’una e dall’altra parte. Ma gli Stati Uniti rifiutano ogni trattativa”. Mentre la Cina, attraverso la portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying, valuta “sbagliato da parte degli USA uscire unilateralmente dallo storico trattato che ha eliminato i missili nucleari dall’Europa“. La paura di una corsa al riarmo è dietro l’angolo.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante