La Cina vieta la libertà religiosa online. Lobsang Sangay: “Contenuti censurati da milioni di persone”
Il 9 ottobre 2018, a Praga, durante il dibattito The Global Challenge of China? al Forum 2000, il presidente della Central Tibetan Administration (CTA), il Dr. Lobsang Sangay, Leader politico del Governo Tibetano in esilio, ha espresso enorme preoccupazione per le ultime manovre della Cina riguardo la libertà di religione su internet affermando che “Il Dipartimento Centrale di Propaganda del governo cinese, le agenzie e le società private impiegano centinaia di migliaia o milioni di persone per monitorare, censurare e manipolare i contenuti online“.
Libertà di culto online: cosa dice la Cina
Le dichiarazioni di Lobsang Sangay arrivano a seguito delle nuove linee guida della Cina sulla tolleranza di culto. Questa volta, il dito è stato puntato contro internet. Il governo, infatti, ha delineato una regolamentazione aggiornata sulla diffusione online di informazioni religiose.
Tutto si basa su un sistema di licenze. Le organizzazioni, le istituzioni e i luoghi coinvolti nella diffusione di idee religiose nel web devono prima ottenere una licenza dal Dipartimento degli Affari Religiosi Provinciali. In questo modo, a detta della Cina, si mantiene “l’armonia religiosa” e il divieto di “promozione illegale della religione“. Mentre le parole di Lobsang Sangay evidenziano la drammatica realtà: “Secondo il rapporto Freedom on the Net di Freedom House 2017, la Cina è stata la peggiore nazione che ha abusato della libertà di internet per il terzo anno consecutivo“.
I dettagli delle licenze
Ma come si ottengono le licenze? Citando TheTibetPost, la seguente è la regola più importante: “Il richiedente deve essere stabilito nel territorio della Repubblica popolare cinese e il suo rappresentante legale o principale responsabile deve essere un cittadino cinese e un residente della Cina continentale“. La concessione vale tre anni ed è vietata alle organizzazioni e agli individui d’oltremare.
Inoltre, “nessun’altra organizzazione o individuo, oltre a quelli autorizzati, può predicare o inoltrare o ripubblicare o collegare ‘informazioni religiose’ su internet, o svolgere corsi di formazione religiosa online, o trasmettere in streaming o registrare su Internet qualsiasi attività religiosa come adorare Buddha, bruciare incenso, canto, culto di massa e battesimo“. Ovviamente, quando si parla di internet, il governo cinese intende “siti, app, strumenti di messaggistica istantanea, webcast live o qualsiasi altra piattaforma di social media“.
Lobsang Sangay: “La Cina abusa del proprio potere”
“Gli sforzi sempre più aggressivi della Cina per controllare il discorso pubblico su se stesso, non solo nella stessa Cina, ma anche in altri paesi, sono indicativi della vulnerabilità della Cina nonostante la sua ascesa al potere – sottolinea il presidente della CTA -. La Cina abusa del suo potere attraverso la propaganda per cambiare la sua immagine invece di correggere i suoi errori. La sua influenza è notevolmente visibile in Australia, Nuova Zelanda, Europa“.
Eppure, il paese asiatico non sembra intenzionato a rallentare la veemenza della propria politica. “La Repubblica popolare cinese non ha mai fatto mistero sul voler portare questo stile di influenza sulla scena globale. Ora, non è una questione se la inizierà ad applicare questa influenza aggressiva a nazioni al di fuori della propria regione, ma quando“.
Inoltre, Lobsang Sangay ha chiesto maggiore attenzione da parte di Europa e Stati Uniti, quest’ultima lodata per la nuova legge contro i funzionari cinesi che vietano la libertà di culto, definendola “uno sviluppo importante” sullo stato delle relazioni tra Tibet, USA e Cina.
L’oppressione online e … offline
Dunque, in base al nuovo decreto e alle parole di Lobsang Sangay, la Cina continua a limitare la libertà religiosa nei propri confini, arrivando anche nel mondo di internet. E questa è solo l’ultima delle tante violazioni di cui il paese si sta macchiando. Tant’è che, qualche tempo fa, la stessa Europa aveva presentato un report in merito.
Nonostante ciò, la Cina vuole continuare a costruire un’immagine di benessere e coesione socio-religiosa. Questo ideale, però, viene smentito da diverse statistiche. Dal 2011, per esempio, il governo ha assunto l’amministrazione di più di 1700 monasteri attraverso il Democratic Management Committee (DMC). Inoltre, ha effettuato demolizioni su larga scala dei monasteri buddisti, tra cui quello di Larung Gar. E poi, bisogna ricordare le oltre 170 immolazioni di monaci tibetani. Così, la domanda di Sangay sorge spontanea: “Perché i tibetani si auto-immolano se sono così contenti, come sostiene la Cina?“.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante