La tragica protesta della “Torce umane” per il Tibet
Il 4 Novembre scorso è stata divulgata la notizia dell’ennesima autoimmolazione – quella del giovane Dhorpo – che accresce la schiera di uomini, donne, monaci e laici che hanno sacrificato la propria vita per la Libertà del Tibet. Il numero complessivo di questo manipolo di Eroi varia a seconda del luogo, del mezzo e dell’anno di inizio che, nei diversi conteggi, vengono considerati.
Questo articolo include TUTTI gli immolati. Quelli che lo hanno fatto con il fuoco, oppure gettandosi in acqua, o precipitandosi da un palazzo o per impiccagione. Nel Tibet occupato o in Esilio (Calcutta, Delhi ed Europa compresi). In stragrande maggioranza Tibetani ma anche sostenitori della causa. Ponendo, insieme, chi è deceduto sul colpo, chi ha trascorso nel tormento fisico e morale ancora giorni di vita e chi è rimasto in vita per sorte o è “scomparso” per l’intervento della polizia cinese.
Torce umane: una catena senza fine
Considerare le età di questi Eroi fa inorridire. Il primo Tibetano di questa lunga catena aveva 61 anni. I più giovani sono poco più che bambini. Come Dorjee Tsering che, prima di darsi fuoco a 15 anni, ha scritto una lunga lettera motivando il suo gesto con parole da adulto. Di certo non possiamo fare a meno di interrogarci su cosa dovrebbe fare un quindicenne, in qualsivoglia Paese e cultura. Non certo scegliere la morte come unica strada per rendere visibile al mondo l’iniquità e la violenza di 60 anni di occupazione, da parte del Governo di Pechino, in un Paese, una volta Libero.
Se poi pensiamo alle famiglie di questi uomini e donne, emergono i tratti più disparati. E, per ciascuna, possiamo solo molto alla lontana, immaginare il dolore. Madri che perdono i loro figli. Genitori che, immolandosi, rinunciano a veder crescere i figli propri, sperando che abbiano un futuro da uomini Liberi e non da Esuli o servi di un padrone.
Se riflettiamo, infine, sulla cadenza non possiamo fare a meno di notare che gli anni trascorsi tra la prima auto-immolazione (1998), la seconda (2006), la terza (2009) e la quarta (2011) erano solo un timido inizio del trend. Perché poi, a partire dal 2011, il ritmo è diventato serrato, con un totale nel 2012 di circa 90 casi … E non possiamo non domandarci cosa sia successo dal 2013 fino ai nostri giorni.
Bisogna continuare a lottare
L’esasperazione, di certo, raggiunge in fretta un picco, alimentandosi della sua stessa rabbia. Poi, forse, si adatta all’evidenza. E l’evidenza potrebbe essere lo sguardo verso i tanti mulini a vento che ostacolano la lotta. O l’inevitabile pressione emotiva nel discostarsi dalla “Via di Mezzo”, quella “genuina Autonomia” difesa tenacemente dal 1959 a oggi, a dispetto dei risultati non ottenuti. O la percezione, legittima, che persone e Governi, cui il messaggio è indirizzato, possano continuare, vergognosamente, a girare la testa altrove.
Dopo gli otto mesi trascorsi dall’ultima immolazione, sembrava che questa forma estrema di protesta si fosse esaurita. Dhorpo ci dimostra che così non è. Il giovane Tibetano, con il suo gesto, chiede a tutti noi di continuare a lottare, ispirandoci al suo coraggio, con il rispetto dovuto sia alla sua scelta che ai diritti irrinunciabili di tutte le donne e di tutti gli uomini del suo tormentato Paese. E ci chiede di fare in modo che tutti questi anni di “Torce Umane” non siano stati invano ma servano ad affinare gli strumenti per continuare la lotta. Noi che possiamo farlo, essendo vivi…
Per ogni ulteriore dettaglio in merito, si rimanda al sito dell’Associazione.
Articolo di Marilia Bellaterra