Cenni sul Buddhismo

La breve esposizione che segue vuole essere unicamente un’indicazione di base sui principi del Buddhismo e, in particolare del Buddhismo Tibetano.

  1. Cenni sul Buddhismo – Il sentiero della grande compassione
  2. Introduzione del Buddhismo in Tibet
  3. I lignaggi del Buddhismo Tibetano
  4. I Testi Sacri e i Canoni
  5. Le tre principali Scuole

1. Cenni sul Buddhismo – Il sentiero della grande compassione

Il buddhismo si è sviluppato come dottrina universale del riscatto dal dolore e della salvezza, nel lungo periodo di tempo che ha visto sorgere, affermarsi e decadere, tra il sec. VI a.C. e l’VII d.C., il sistema sociale basato sulla schiavitù. E’ nato quale “eresia eterodossa” del Induismo (Bramanesimo) poiché questa religione esprimeva interessi meramente di casta e i sacerdoti avevano finito per far dipendere la salvezza da un ritualismo formale e complicato: gli assunti speculativi sono gli stessi ma viene qui negata la validità dei riti e la divisione in caste. Oggi è la quarta comunità religiosa mondiale, dopo Cristianesimo, Islam e Induismo, e conta almeno 3-400 milioni di seguaci.

La letteratura buddista attribuisce la nascita del movimento al principe indiano Siddharta, poi conosciuto col nome di Gotama, che sarebbe nato intorno al 563 a.C., a Lumbini e vissuto nel VI sec. a.C., cioè in un periodo già caratterizzato dalla disgregazione della primitiva comunità indiana, cui veniva sostituendosi una società basata sullo schiavismo e sulla divisione in classi sociali contrapposte.

Siddartha della stirpe Sakya (“potenti”: Buddha Sahyamuni, l’asceta dei Sakya), è figlio del governatore di uno dei piccoli e bellicosi regni dell’India del nord ai piedi dell’Himalaya, lo stato di Sakyan, tra il Gange e il Nepal, a 200 km da Benares; riceve un’educazione legata al suo rango, acquisendo anche nozioni di legislazione e di amministrazione. A 16 anni si sposa, dopo 13 anni ha un figlio, ma proprio all’età di 29 anni, dopo aver visto in un villaggio, un vecchio, un malato e un corteo funebre, decide di abbandonare la sua casa e seguire un asceta errante. Vive per sette anni nella foresta, sottoponendosi – sotto la guida di vari maestri – a digiuni e privazioni, al fine di conseguire la pace interiore e la conoscenza della verità. Ma, non soddisfatto, abbandona ogni maestro e decide di ricercare da solo la via della Liberazione. A 35 anni, giunto alla soglia della morte per esaurimento, una notte, seduto ai piedi di un albero di pipal, sprofonda nei suoi pensieri pervenendo all’Illuminazione (Buddha infatti significa “illuminato” o “risvegliato” e riconosce quattro verità fondamentali: la realtà dell’esistenza personale e del mondo esteriore è dolore; l’origine del dolore è il desiderio; il desiderio va eliminato; la via che conduce all’arresto del dolore è il Dharma (cioè l’Ottuplice Sentiero).

Comprende che l’ascetismo estremo non fa che respingere a livelli più profondi di coscienza, rafforzandoli, gli impulsi e gli istinti che presumeva di sradicare e dunque rifiuta sia una vita di piaceri, perché troppo effimera, che una vita di sofferenza volontaria, perché fonte di orgoglio. La retta via è nel mezzo (Via Mediana). Il segreto della felicità nell’accettarsi, rinunciando ai desideri, la cui consapevolezza rende infelici non meno della loro realizzazione. Infatti ogni desiderio soddisfatto porta a maturarne un altro ancora più grande. La condizione suprema della felicità è quella del Nirvana, in cui l’uomo, pur non desiderandolo, è felice. Nel Sermone di Benares, con cui il Buddha inizia la sua predicazione, viene inoltre negata l’essenza a tutte le cose, poiché ogni cosa trae la propria realtà da altre cose che ne sono la causa. Solo il Nirvana sfugge a tale destino, in quanto non è uno “stato”, bensì una “condizione” di assenza (non c’è morte e vita, gioia e dolore…). L’origine del dolore è la “sete” o desiderio, che può essere di tre tipi: piacere, voler esistere, non voler esistere, e vi sono tre radici del male: concupiscenza (brama), ira (odio) e ottenebramento (cecità mentale). L’io che non riesce a sottrarsi alla schiavitù del desiderio, è destinato a reincarnarsi (samsara) in eterno.

Buddha, circondato di vari discepoli, comincia a predicare il Dharma (legge, regola della dottrina buddista) per tutta l’India, a partire da Benares, rivolgendosi alla gente comune. Nel momento dell’Illuminazione il Buddha avrebbe intuito un preciso imperativo etico: “liberarsi dalle opinioni”. L’atteggiamento quindi vuole essere di tipo anti-dogmatico. “La dottrina – dice Buddha – è simile a una zattera, serve per attraversare e non per trasportarsela sulle spalle“. Dopo circa 40 anni di pellegrinaggio e di insegnamento, muore e viene cremato dai suoi discepoli secondo il rito indiano (circa 480 a.C.).

Ben presto il Buddha, la sua Dottrina (Dharma) e la Comunità dei suoi monaci (Sangha) vennero definiti come le tre Gemme (Triratna), le tre fondamenta del Buddismo.

Secondo i buddisti l’io non è un’entità individuale (come nelle Upanishad), ma è una combinazione di particelle diverse (dharma o qualità spirituali), di tipo sensitivo, volitivo, percettivo e di impulsi innati: non esiste l’unitarietà dell’io né la sua personale immortalità. I dharma costituiscono l’infinita varietà dei modi della realtà e quindi gli infiniti accadimenti della nostra esistenza, frutto di azioni compiute in passato e semi di eventi futuri. Io e Mondo sono il risultato dell’unione di vari dharma, che fluiscono continuamente in un perenne gioco di associazioni e dissociazioni, di aggregazioni e disgregazioni secondo cui i dharma sono costretti a reincarnarsi finché l’io non si è purificato: l’uomo deve rispondere sia della vita trascorsa che della vita passata nelle generazioni precedenti. Questa circolazione o flusso dei dharma è la ruota della vita da cui appunto ci si deve liberare. Il buddista, per arrivare all’eliminazione dei desideri, deve seguire le otto vie (Ottuplice sentiero) fondamentali del Dharma: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta forma di vita, retto sforzo, retta presenza di spirito, retta pratica della meditazione. Così, attraverso la Meditazione, giunge alla perfezione e sprofonda nel Nirvana, interrompendo la catena delle reincarnazioni (samsara).

Lo stesso Buddha, prima di nascere come Gotama, avrebbe subito una lunga serie di rinascite, ma la sua morte ha rappresentato l’immediato passaggio al Nirvana poiché fu il primo uomo a raggiungere l’Illuminazione. Nirvana dunque, che letteralmente significa “estinzione“, spiritualmente significa “beatitudine“.

Le maniere di vivere il Buddismo sono, ancora oggi, fondamentalmente due: l’appartenenza all’Ordine composto da monaci (bhiksu) o monache (bhiksuni) e la confraternita dei laici (upasaka). Sul piano del comportamento sociale, il Buddismo rifiuta il sistema brahminico delle caste e riconosce l’uguaglianza formale di tutti gli uomini. Il buddista ama non tanto il singolo, quanto il genere umano. Non si difende dal male ricevuto, non si vendica, non condanna chi commette un omicidio. Nel complesso il buddista ha un atteggiamento di indifferenza per il male, rifiutando soltanto di non compierlo.

I precetti fondamentali del Buddismo, per quanto riguarda le regole etiche di vita (sila) sono divisi in tre gruppi: i cinque divieti (non uccidere alcun essere vivente, non prendere l’altrui proprietà, non toccare la donna altrui, non dire menzogne, non bere bevande inebrianti); gli otto comandamenti (che includono i suddetti cinque divieti, cui si aggiungono: non mangiare cibo nei tempi non dovuti; astieniti dal canto, dalla danza, dalla musica e da ogni spettacolo indecente; non ornare la tua persona con ghirlande, profumi e unguenti, non usare sedili alti e lussuosi); e le dieci condotte morali (gli otto precedenti cui si aggiungono: non adoperare letti grandi e confortevoli; non commerciare cose d’oro e d’argento). Quanto alle virtù morali che deve seguire il buddista, si riducono a quattro: compassione (percepire dentro di sé la gioia e il dolore dell’altro); amorevolezza verso tutti gli esseri viventi; letizia e considerazione del lato positivo delle cose; imparzialità nel considerare la realtà.


2. Introduzione del Buddhismo in Tibet

Secondo il mito, la prima introduzione del Buddhismo in Tibet risalirebbe al 173 (regno di Lha Thothori Nyentsen).

Durante il regno del re Songten Gampo (Sron-btsan sGam-po) (617-649), alcuni ministri furono inviati in India allo scopo di apprendere la lingua e la scrittura indiane, sulle quali il moderno sillabario tibetano è modellato; grazie alle due mogli buddhiste del re, fu portata la prima statua buddhista in Tibet. Ma la religione si diffuse e si arricchì solo durante il regno di Trhisong Detsen (nato nel 742, regnante dal 755, morto nel 798), anche attraverso il contributo Shantarakshita di Padmasambhava (in tibetano Guru Rinpoche), famoso mahasiddha “detentore di tutto il Tantra” giunto nel 786 dal regno dell’Uddiyana. Verso il IX secolo la serie dei “Re Religiosi” terminò; fra questi sovrani, Lang Dharma perseguitò la religione dal 798 al 842.

Si ebbe, in seguito, una “seconda introduzione” del buddhismo in Tibet attraverso l’opera di guru e lama indiani e tibetani, di traduttori e di loro ospiti come il re Lha Lama Yeshe Ö (che invitò un maestro indiano, Atisha, XI secolo), i traduttori Rinchen Zangpo e Legpai Sherab. In questo periodo sorsero le tre differenti “scuole” (Sakya, Kagyu e Kadam), oltre alla tradizione antica, Nyingma (risalente direttamente a Padmasambhava). Tsongkapa fu il fondatore della scuola dei Gelug con la riforma di quella Kadam utilizzando principalmente gli insegnamenti di Atisha (fondatore della tradizione Kadam).

A partire dal XII/XIII secolo, il Tibet fu sotto l’influenza dei Mongoli (il quarto Dalai Lama, Yonten Gyatso, era di famiglia mongola), che si appoggiarono alla scuola Sakya: nel 1253 Kubla Khan offrì a Drogön Chögyal Phagpa alcune province del paese.

Il primo Dalai Lama, Gedun Drub regnò nel XIV secolo (1391-1474); l’importanza della scuola Gelug e delle istituzioni loro collegate, tuttavia, crebbe considerevolmente solo nel XVI secolo: Sonam Gyatso (1543-1588) si assegnò per primo il titolo di Dalai Lama, (i due predecessori furono riconosciuti come tali solo a posteriori): a dimostrazione dell’influenza mongola sul paese, “Dalai” è parola mongola (letteralmente significa “oceano”) e “Lama” è tibetano per “maestro”. Secondo la tradizione, Altan Khan si rivolse a Sonam Gyatso come “oceano di saggezza”.

Ngawang Lobsang Gyatso il quinto Dalai Lama, fu un grande accentratore ed organizzatore, e strinse alleanza sia con i Mongoli che con gli imperatori Qing dei Manciu.

Il Dalai Lama Thupten Gyatso (1876-1933) riuscì a tenere il paese intatto nonostante le numerose pressioni esterne. Il governo dei Manciu tentò, dopo la sua fuga, di deporlo ed al suo ritorno dalla Mongolia dovette nuovamente fuggire in India, cercando l’aiuto dei britannici, che però rimasero neutrali. Nel 1911, in ogni caso, l’influenza dei Manciu sul Tibet svanì, in seguito al crollo della dinastia dell’Impero.


3. I lignaggi del Buddhismo Tibetano

I Lignaggi del Buddhismo Tibetano sono le principali correnti di trasmissione degli insegnamenti del Buddhismo in Tibet e nelle aree in cui si è storicamente diffuso. I Lignaggi hanno come base determinati monasteri dove gli insegnamenti sono trasmessi, senza essere esclusivi. Il Lignaggio contiene una serie di dottrine da praticare con una serie di esperienze fisiche e mentali guidate da uno o più Lama qualificati i quali abbiano ricevuto da altri Lama le specifiche Trasmissioni, Iniziazioni e autorizzazioni. Ha la possibilità di impartire quelle Iniziazioni (Wangkur), Trasmissioni Orali (Lung/Ka-Lung) insegnamenti generali e istruzioni specifiche di meditazione da cui trarre autonomamente delle conclusioni e con cui conseguire i propri fini.

Nyingmapa: il Nyingmapa (rÑin-ma-pa: “Lignaggio degli Antichi”) fu originato dagli insegnamenti di Padmasambhava, Shantarakshita e Vimalamitra nel VIII secolo. Costituisce la “prima diffusione” del Buddhismo, o meglio Buddhadharma. In Tibet era principalmente incentrato sulla pratica del Vajrayana, a partire dai Tantra inferiori fino a quello che nel sistema Nyingmapa viene chiamato Mahayoga. I due altri Tantra esclusivi di tale Lignaggio sono l’Anuyoga e il Maha Ati Yoga, quest’ultimo conosciuto in occidente con il termine tibetano “Dzok Chen” o estesamente “Dzokpa Chenpo”, quasi sempre tradotto come “Grande Perfezione” e qualche volta come “Grande Completamento”.

Kagyupa: il Kagyüpa (bKa’-brgyud-pa: “lignaggio della trasmissione orale”) è disceso dalla linea di insegnamenti della “seconda diffusione” del Buddhismo in Tibet, che risale,  al Buddha Vajradhara, Dorje Chang, che fu il Lama Radice del Mahasidda indiano Tilopa. Tilopa ebbe come discepolo principale Naropa, che fu il supremo Guru, insieme al Mahasiddha Maitripa, del tibetano Marpa, il cui discepolo laico tibetano principale fu Milarepa, Mahasiddha tibetano, noto aver più volte meditato sulle montagne himalayane anche in pieno inverno vestito solo di una leggera veste di cotone bianco; insegnava spesso tramite i “mgur” (in tibetano) o “Doha” in sanscrito (in italiano canti mistici). Milarepa avrebbe poi realizzato lo stato di Buddha in una sola esistenza e non in innumerevoli vite come secondo questa religione accadrebbe la maggior parte delle volte. A Milarepa è attribuito che di sé abbia detto: «In un solo corpo e in una sola vita… [realizzò la Buddità insorpassabile]». Mila Shepa Dorje ebbe principalmente due discepoli che dichiarò essere uno simile al Sole e uno simile alla Luna: il primo era Gampopa o Dagpo Lha Je, monaco e medico, un grande essere profetizzato dal Buddha stesso. Monaco proveniente dalla tradizione Kadampa, Gampopa scelse come suo Lama Radice Milarepa, entrando così nel Lignaggio Kagyu dove introdusse elementi di Lam Rim Kadampa. Il discepolo simile alla Luna fu un laico che era diventato discepolo di Milarepa all’età di undici anni e il suo nome era Rechungpa o Rechung Dorje Drakpa. Di Gampopa fu discepolo, fra gli altri, Dü Sum Khyenpa (colui che conosce i tre tempi, passato, presente e futuro), il primo Karmapa. Il Lignaggio breve Karma Kagyu è quindi: Lama Dorje Chang (Guru Vajradhara), Tilopa, Naropa, Marpa, Milarepa, Gampopa e i Karmapa essi stessi profetizzati dal Buddha Shakyamuni in vari Testi. Il Buddha profetizzò invece il grande Guru di Uddiyana, guru Rinpoche.

Kadampa: il Kadampa (bKa’-gdams-pa: “lignaggio di quelli legati dal precetto”) è un lignaggio della “seconda diffusione” del Buddhismo in Tibet, fondato dal Maestro bengalese Atisha (anch’egli discepolo di Naropa); ebbe il ruolo di fondatore del Lignaggio Kadampa. Basato sull’austerità monastica, rispetto delle regole monacali del Vinaya, e sullo studio della Prajñaparamita nel XV secolo, il lignaggio Kadampa fu riformato da Lama Tsong Khapa prendendo vari nomi quali Ghedenpa e Gelugpa (quest’ultimo è quello comunemente usato). Il discepolo principale di Atisha fu Drom Tönpa.

Shijepa: lo Shijepa (Zhi-byed-pa) è un lignaggio diffuso in Tibet dal Mahasiddha indiano Padampa Sangye (Pha-dam-pa Sangs-rgyas) nel XI secolo ed è particolarmente indirizzato alle tecniche dell’eliminazione dei “demoni”. Ma gCig fu l’esponente che maggiormente elaborò questa dottrina nel gCod .

Jonangpa: il discepolo del kashmiro Candranatha, Dolpopa Sherab Gyaltsen (Shes-rab rgyal-mtshan) (1292-1361) fondò in Tibet il Lignaggio Jonangpa (Jo-nang-pa) che in realtà non era che il nome del Monastero nel quale Dolpopa Sherab Gyaltsen entrò a studiare.  Questo lignaggio oggi è quasi estinto ma la sua importanza  si è diffusa nelle altre Scuole, specialmente la Kagyupa e la Nyingmapa e parzialmente anche in quella Sakya . È stato definito “un lignaggio eterodosso”, ma secondo altre analisi fu un lignaggio pienamente attinente agli insegnamenti del Buddha (Sakyamuni). Gli insegnamenti centrali del lignaggio Jonangpa erano incentrati sul Kalachakratantra e imperniati sulla “Tathagatagarbha” (tradotta di frequente come “natura di Buddha”): effettivamente una traduzione centrata anche perché Tathagata è un altro titolo del Buddha. Secondo Thrangu Rinpoche, il Buddha Sakyamuni girò tre volte la ruota del Dharma e cioè diede tre cicli di insegnamenti: il primo si incentrava sulle “quattro nobili verità”, cioè la verità dell’esistenza della sofferenza, dato comune e riscontrabile dall’esperienza di chiunque, niente di metafisico; la seconda nobile verità spiegava l’origine della sofferenza, la terza la cessazione della sofferenza e la quarta la via per ottenere la cessazione della sofferenza, il Nirvana Hinayana (niente di metafisico). Questo primo ciclo di insegnamenti era diretto a coloro che erano capaci di riconoscere la sofferenza inerente al Samsāra e che di conseguenza avevano sviluppato il forte desiderio di liberarsene: questi erano individui dotati della cosiddetta “motivazione intermedia”, mirando cioè non ad ottenere rinascite fortunate e ad accontentarsene, ma a praticare il Dharma allo scopo di ottenere la liberazione individuale dal Samsāra senza fine e questo si definisce “Nirvana Hinayana”. Per eliminare il rischio che i praticanti concepissero tuttavia una esistenza intrinseca, vera riguardo i fenomeni e il Samsāra stesso, il Buddha diede un secondo ciclo di insegnamenti incentrati sulla Prajnaparamita  che esplicava chiaramente la vacuità profonda di tutti gli “elementi o aspetti dell’esistenza” compreso il Nirvana. Tutti gli elementi presi in considerazione, anche venendo considerati in numero di 108, possono essere classificati in due categorie: la persona e i fenomeni, e quindi vacuità della persona (Pudgalanairatmya) e vacuità dei fenomeni (Dharmanairatmya). In seguito il Buddha diede il terzo ciclo di insegnamenti incentrati sulla Tathagatagarbha, la natura di Buddha, spiegando in tal modo che sebbene ogni fenomeno senza eccezione fosse vuoto di esistenza inerente, era comunque la natura vuota e luminosa della mente la base per la manifestazione di ogni fenomeno di Samsara e Nirvana. Era inoltre la base per ogni possibile sviluppo: dalla condizione di ignoranza della condizione del Samsāra, allo stato risvegliato e reso privo di oscurazioni e difetti (proprio di un Buddha). Proseguiva la spiegazione rivelando che ogni essere senziente senza alcuna eccezione è dotato di questa natura di Buddha, “Tathagatagarbha”, compreso il più piccolo e insignificante insetto come di qualsiasi altro essere non umano compresi quelli rinati come spiriti malevoli e demoni (in tibetano: “Don” e “Dre”). Il terzo giro della ruota del Dharma, riguardante principalmente la Tathagatagarbha, era diretto a eliminare il rischio che i praticanti cadessero nell’estremo del nichilismo con l’avere come pratica principale la negazione (anche se riguardante l’esistenza intrinseca); comunque la vacuità non fu mai negata o posta in secondo piano, essa era meditata come inerente anche alla Tathagatagarbha. Con il terzo giro della ruota del Dharma, con il quale fu mostrata in modo chiaro e preciso la natura insieme vuota e chiara/luminosa della mente quale Tathagatagarbha, con questo ciclo di insegnamenti si stabilì un ponte concettuale tra il Sutrayana e il Vajrayana.

Sakyapa: il Sakyapa (Sa-skya-pa: “lignaggio di Sakya”) ed i Gelugpa sono i soli lignaggi che non rivendicano un fondatore di origine indiana ma tibetana, anche se questa affermazione è contestata in quanto i Gelugpa sono sorti tramite l’attività risvegliata di Je Tsong Khapa, il quale ha fatto “nascere” il lignaggio Gelugpa riformando il lignaggio Kadampa originato dal grande guru e Mahapandita (“grande erudito”) Atisha e dal suo discepolo principale Drom Tönpa (tibetano). Per quanto riguarda i Sakyapa, hanno avuto come origine dal mahasiddha Virupa uno dei famosissimi 84 mahasiddha dell’India antica. Il nome di questo lignaggio deriva dal suo monastero più importante, fondato a Sakya (Sa-skya, “terra grigia”) nella provincia di Shigatse da Khön Köchong Gyalpo (Khon dkon-mchong rgyal-po) nel 1073. Nel XIII secolo l’abate ‘Phags-pa Iniziò Kublai Khan, allo Hevajra Tantra, diventandone il Lama radice, principale, con il titolo cinese di Dishi (“precettore imperiale”) ed ottenendo per i Sakyapa il controllo politico di tutto il Tibet, oltre che la preminenza religiosa in tutti i domini mongoli, ma senza per questo limitare la libertà religiosa di tutte le altre tradizioni. Con la caduta della dinastia Yuan in Cina anche il potere politico dei Sakyapa in Tibet venne meno. Dottrinalmente i Sakyapa sostengono che la luce sia un attributo della mente e non la sua essenza, come ritengono i Gelugpa.

Gelugpa: i Gelugpa (dGe-lugs-pa: “virtuosi”), noti anche con il nome di “Berretti Gialli”, sono il lignaggio più diffuso e più potente del Tibet. A Lhasa nel Potala ha sede il Dalai Lama, ritenuto dai Gelugpa un Tülku, emanazione, del Bodhisattva Chenresig, mentre nel monastero Gelugpa di Tashilunpo a Shigatse ha sede il Panchen Lama, Tülku del Buddha Amithaba. Il fondatore, lama Tsongkhapa, nel XIV secolo fu discepolo dei lignaggi Sakyapa, Kagyüpa e Kadampa e fu in quest’ultimo lignaggio che si fece propulsore di una riforma della disciplina monastica che portò alla formazione del lignaggio Gelugpa. Il lavoro principale di Tsongkhapa è il Lam-rim chen-mo (“Il grande sentiero graduale”) è basata sugli insegnamenti di Atisha. Peculiare dei Gelugpa è l’importanza data alla logica ed al dibattito riguardante i soggetti studiati e memorizzati riguardanti ogni campo della conoscenza del Dharma dell’intero Tripitaka di tutti i sutra e di tutti i tantra. Parte delle attività giornaliere dei monaci Gelugpa sono dibattiti filosofici sulle materie apprese ed una perfetta tenuta etica unita a una attività costante di meditazione.


4. i Testi Sacri e i Canoni

I Testi sacri riconosciuti come autentici dal Buddismo sono raccolti in due Canoni:

Il Canone Pali (I sec. a.C.) – è chiamato anche Tripitaka, perché raggruppa il corpus in tre parti o “Tre canestri” (pitaka): infatti i libri di ogni raccolta, scritti su fogli di palma, potevano essere contenuti in una cesta. Rappresenta una sintesi delle dottrine predicate dal Buddha e delle teorie elaborate dalla scuola Hinayana. La prima cesta (Vinayapitaka) comunica le regole da osservare nelle comunità monastiche; si compone di tre voluminose raccolte di libri (per leggerli tutti, al Concilio di Rangoon (1954), ci vollero 169 sedute in 46 giorni); La seconda cesta (Sutaapitaka) contiene le conversazioni di Buddha con i suoi discepoli, è il doppio della prima e la sua recita è la base del culto e della meditazione di monaci e laici. Il linguaggio usato è poetico, le composizione sono ritmiche, e le spiegazioni delle tematiche sono molto convincenti; contiene anche 547 leggende relative alle esistenze precedenti del Buddha; La terza cesta (Abhidammapitaka) fornisce commenti al Sutaapitaka e la spiegazione dei principali dogmi del Buddismo contenuti appunto nel Sutra (metafisica); i testi sono stati composti da ignoti autori dal III al I sec. a.C. e sono ad uso degli specialisti.

Il Canone Sanscrito – nato circa sei secoli dopo la morte del Buddha, varia molto, come suddivisione e denominazioni, da Stato a Stato. Esso sostanzialmente è legato alla scuola Mahayana. Questa tradizione, i cui testi sono molto estesi, sostiene che Buddha avrebbe riservato la parte più sottile della sua verità alle generazioni posteriori. Tra le numerose scritture meritano d’essere ricordate La sutra della perfetta sapienza e soprattutto il Libro tibetano dei morti.


5. Le tre principali Scuole

Intorno al I sec. d.C., le dispute sull’insegnamento del maestro portarono alla formazione di tre scuole principali:

HINAYANA o “piccolo veicolo” (stretta via della salvezza) – che richiede una rigorosa osservanza delle otto vie. I seguaci di questa corrente ritengono che solo i monaci possono raggiungere il Nirvana. Non considerano Buddha un dio, ma solo un maestro di perfezione morale. Si dedicano alla predicazione, allo studio dei testi canonici e alla venerazione dei luoghi legati alla vita di Buddha. La sua diffusione è soprattutto in Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia e Sri Lanka.

MAHAYANA o “grande veicolo” (larga via della salvezza) – che permette la salvezza anche al laico, in forme meno rigide. La scuola Mahayana (che sostituì la lingua Pali, usata dal Piccolo Veicolo, con il Sanscrito) riconosce un gran numero di divinità, fra le quali annovera lo stesso Buddha. Anzi, Siddartha Gotama non sarebbe che uno dei buddha: ne esisterebbero altre centinaia (sovrani del paradiso, del futuro, del mondo ecc.). Oltre ai buddha vi sono degli esseri superiori (Bodhisattva, cioè “sostanziato d’illuminazione”), cioè coloro che, pur avendo raggiunto l’illuminazione (bodhi) e acquistato il diritto d’immergersi nel Nirvana, hanno deciso di continuare a reincarnarsi per portare alla salvezza il maggior numero possibile di creature. I mahayanisti credono anche negli spiriti maligni e in altri esseri soprannaturali, nonché nella differenza tra paradiso e inferno. Nel paradiso si trovano le anime dei giusti (anche laici) che devono incarnarsi ancora una volta sulla terra prima di raggiungere il Nirvana. Questa corrente, che praticamente non ha nulla del Buddismo originario, si è diffusa tra il II e il X sec. nell’Asia centrale, nel Tibet, in Cina, Vietnam, Corea e Giappone, Mongolia e Nepal (per qualche tempo anche in Birmania, Indonesia e India settentrionale).

VAJRAYANA (Veicolo del Diamante o buddismo Tantrico) – è la meno diffusa (circa 20 milioni di seguaci), e la più lontana dalle origini, insistendo proprio sui punti che il Buddha aveva maggiormente criticato: il ritualismo, la mistica e la magia.  Per questa scuola la natura essenziale dell’essere è pura, luminosa e inalterabile come un diamante (vajra) e lo scopo è raggiungere la consapevolezza di tale natura attraverso una serie di pratiche di meditazione e attraverso la visualizzazione delle energie spirituali dell’universo in forma di divinità benigne e terrifiche o di diagrammi mistici (mandala). Si è affermata verso il VI sec., diffondendosi prevalentemente in Mongolia e nel Tibet, ma anche in Nepal, Cina e Giappone. I suoi due rami principali sono il Lamaismo e lo Zen: correnti esoteriche (chiamate anche col nome di Veicolo delle formule magiche o Mantrayana) che attribuiscono importanza centrale alla ripetizione di formule sacre (mantra) per raggiungere l’Illuminazione. Il LAMAISMO, nato nel Tibet verso il 750 e diffusosi anche in Mongolia e Siberia, è l’unica corrente strutturata in maniera gerarchica. Per i suoi seguaci il Tibet rappresenta come una “casa madre” e una “terra promessa”. Essendo il prodotto di una fusione di Buddismo e religioni animistiche e sciamaniche, il Lamaismo dà notevole importanza alla conoscenza mistica e alla musica, con l’aiuto dei quali esso è convinto di poter raggiungere il Nirvana in tempi molto brevi. Lo ZEN è la corrente più mistica del Buddismo; fu introdotto in Cina nel VI sec. e in Giappone nel XII, dove divenne la religione dei samurai. Esso sottolinea l’indivisibilità del Buddha da tutto ciò che esiste: l’uomo quindi può e deve raggiungere, già in questo mondo, l’unità con la divinità. Ciò può avvenire solo tramite un’Illuminazione interiore, istantaneamente, in condizioni eccezionali, provocate anche da stimoli fisici, poiché la verità non può essere raggiunta razionalmente, né può essere espressa in concetti. Uno degli stimoli preferiti, in tal senso, è il senso del bello (che include l’arte di disporre i fiori, la cerimonia del tè, la sobria raffinatezza della casa, ecc.) e una tecnica fondamentale e il controllo della respirazione.