Qual è il rischio (finanziario) per i paesi che decidono di far parte della Nuova Via della Seta?
La Nuova Via della Seta (o Belt and Road Initiative) è stata annunciata nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping. Una strategia di Pechino per rilanciare i collegamenti infrastrutturali e commerciali della Cina nella fascia euroasiatica e, in parte, nell’Africa Orientale. In sostanza, si tratta di un progetto economico-commerciale di forte impatto mondiale, che si divide in un percorso ferroviario ribattezzato la “Cintura economica della Via della Seta” e le tratte marine definite “la Via della Seta marittima del 21° secolo” (per ulteriori informazioni, leggere il nostro approfondimento su THAIS 02 presente tra pagina 40 e 43). Tuttavia si tratta di un’iniziativa che potrebbe avere ricadute finanziarie pesantissime su tutte le nazioni che ne prenderanno parte.
Il problema della Nuova Via della Seta
La Nuova Via della Seta riguarda anche l’Italia. Tra l’ottobre e il novembre 2018, l’attuale vicepremier Luigi Di Maio partecipò al “China International Import Expo“, dove affermò di aver avviato dialoghi importanti con il governo cinese per futuri rapporti commerciali. “Il nuovo governo italiano ritiene che il rapporto con la Cina sia fondamentale – dichiarò il ministro -. Per noi è molto importante chiarire che siamo contenti di essere l’unico paese del G7 ad aver portato avanti fino a questo punto i negoziati“. Tutto ciò tra i mugugni dell’Unione Europea.
Una scelta che potrebbe mettere a repentaglio una già fragile economia, come per altre nazioni. Perché? Gli investimenti infrastrutturali richiesti dalla Cina per la Via della Seta creerebbero debiti proprio con il colosso asiatico. In quanto tali operazioni richiederebbero necessità economiche che nessuno attualmente possiede, con il conseguente indebitamento con Pechino. Una conferma ci arriva da una ricerca del Center for Global Development, in cui si evince che gli Stati più poveri si potrebbero trovare sotto scacco senza via d’uscita. Come? Se accettano lo sviluppo infrastrutturale della Cina, si indebitano. Altrimenti, soffriranno di carenze strutturali importanti, con conseguenze politiche-finanziari enormi.
Il caso dello Sri Lanka
Nell’estate del 2017, il governo cinese mise mano al porto di Hambantota, uno dei punti strategici e nevralgici dello Sri Lanka e dell’Oceano Indiano. Al momento della firma, la proprietà dello scalo venne concessa all’85% alla China Merchants Port Holdings (con previsione di scendere, anno dopo anno, al 65%), il restante alla Sri Lanka Ports Authority.
Fin qui nulla di strano, se non fosse che Hambantota ha una storia alquanto particolare. Il porto era stato aperto 7 anni prima con un progetto da 1,5 miliardi di dollari per rilanciare l’economia locale. Tuttavia, lo scalo non generò i frutti sperati, facendo registrare al governo di Colombo una profonda perdita economica. Questa situazione costrinse l’isola ad avviare accordi finanziari con la Cina per risollevare le sorti del porto, fino a indebitarsi. Tutto ciò tra le manifestazioni di piazza della popolazione locale, che temeva la perdita delle proprie terre e le perplessità di India, Stati Uniti e Giappone, che giudicavano la scelta cinese come un’azione meramente militare.
Cosa potrebbe succedere a Gibuti?
Ci troviamo nel Corno d’Africa, un altro punto strategico per la Via della Seta e, in generale, per il commercio internazionale. Proprio per questo, Gibuti è finito sotto gli interessi cinesi. In particolar modo, al centro della vicenda vi è il porto di Doraleh, che potrebbe passare alla storia come la nuova Hambantota. Secondo il rapporto del Centro sopracitato, infatti, Gibuti potrebbe contrarre un debito pari all’88% del suo PIL, di cui la Cina possiederà la maggior parte. Dubbi che ruotano anche attorno alla società protagonista della vicenda, guarda caso la China Merchants Ports Hondings.
Infine, al centro della vicenda vi sono i delicati rapporti tra Cina e USA, in quanto Gibuti possiede l’unica base militare statunitense di tutta l’Africa, il Camp Lemmonier. Insomma, la realizzazione della Via della Seta chiama in causa svariati paesi e situazioni sociopolitiche di rilevanza mondiale, tra economie deboli che potrebbero soccombere per colpa della “trappola del debito”.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante