La Cina non deve interferire nella successione del Dalai Lama
Dall’occupazione del Tibet nel 1950, il Partito Comunista Cinese distorce le vicende storiche per interferire nelle vicende religiose Tibetane. Un’importante questione riguarda la reincarnazione del XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso. Secondo i buddisti, un maestro illuminato e realizzato può consapevolmente scegliere di reincarnarsi per il beneficio degli altri. Tra i molti maestri reincarnati, rispettati e venerati dai tibetani, il Dalai Lama è il più alto leader spirituale.
Per controllare questo pilastro portante della cultura tibetana e interferire con il processo di reincarnazione, la Cina ha emanato l’Ordine N. 5 nel 2007 e l’Ordine N.19 nel 2023, che indicano rispettivamente le “Misure di gestione della reincarnazione dei Buddha viventi nel buddismo tibetano” e le “Misure per l’amministrazione dei siti di attività religiosa”. Queste leggi violano sia l’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che l’articolo 36 della Costituzione Cinese, che difendono la libertà religiosa.
Il PCC è dichiaratamente ateo. “La religione è veleno” ha detto Mao Zedong durante uno dei suoi primi incontri con il XIV Dalai Lama, negli anni ‘50. Poco dopo la Cina ha distrutto più di 6000 monasteri in Tibet.
Attraverso articoli e dichiarazioni pubbliche la Cina ha rivendicato la propria autorità sul sistema di reincarnazione, facendo riferimento a pratiche antiche. “Nel diritto tradizionale cinese, i titoli vengono intesi come ‘raccomandazioni dell’impero’, ovvero ‘titoli onorifici’ concessi dal governo centrale della Cina ai leader delle sette religiose“. Tuttavia queste affermazioni sono basate su una lettura erronea della storia.
Cenni storici: i Dalai Lama
Il sistema di reincarnazioni risale al XV secolo, quando nel 1475 nacque il secondo Dalai Lama, Gedun Gyatso, reincarnazione del primo Dalai Lama Gedun Drupa. Il titolo di Dalai Lama fu conferito per la prima volta a Sonam Gyatso, il terzo Dalai Lama, non dall’imperatore della dinastia Ming che al tempo governava la Cina, ma da Altan Khan, re mongolo. Nel 1578, dopo aver ricevuto insegnamenti da Sonam Gyatso, Altan Khan gli diede il titolo Dalai, che significa “oceano di saggezza”. A sua volta, il leader spirituale offrì ad Altan Khan il titolo di Dharma Raja, “re religioso”. L’offerta di titoli onorifici non era un’imposizione unilaterale, ma un processo bilaterale inteso come gesto di buona volontà e cortesia diplomatica, in questo caso tra il Maestro tibetano e il leader mongolo.
Nel 1792, quando il Tibet chiese aiuto alla dinastia Qing Manchu contro gli invasori Gurkha dal Nepal, l’imperatore Manchu scrisse un regolamento in 29 punti per un’efficace amministrazione del Tibet. Questo documento, inteso come un consiglio più che come un decreto, suggeriva che la selezione delle reincarnazioni del Dalai Lama e del Panchen Lama avvenisse tramite estrazione di nomi da un’urna d’oro. Fatta eccezione per l’XI Dalai Lama, a metà 1800, questo metodo non fu mai utilizzato.
Con gli Ordini N. 5 e N. 19 la Cina ha dichiarato che i successori dei Buddha devono essere trovati, senza influenze esterne, solamente all’interno del territorio cinese, selezionati con il metodo dell’urna d’oro e approvati ufficialmente dal governo centrale.
Nel Buddismo Tibetano, invece, prima di morire i lama lasciano indizi su dove dovrebbe essere trovata la propria reincarnazione. Si cerca quindi un bambino nato nella regione indicata e dopo aver studiato e osservato il potenziale lama si conferma la reincarnazione. Questo processo comprende particolari rituali religiosi e divinazioni.
In un discorso di settembre 2011, il XIV Dalai Lama ha dichiarato che la propria reincarnazione è una scelta personale e che nessuno ha il diritto di interferire. Lo scopo della reincarnazione è continuare il lavoro spirituale per il beneficio della popolazione, ha affermato, quindi se il suo successore nascesse in un paese non libero il senso della reincarnazione si perderebbe.
Qui l’articolo completo pubblicato da The Japan Times il 29 gennaio 2024.