Acqua, terra e aria: l’inquinamento cinese non salva niente e nessuno
L’inquinamento cinese in Tibet non è una notizia fresca del panorama internazionale. Tuttavia, Aleteia.org, rete d’informazione globale di stampo cattolica, consegna un’interessante quadro grazie al quale promuovere un ragionamento più approfondito in materia. L’articolo in questione mette al centro i tre attori principali di qualsiasi ecosistema: acqua, terra e aria.
L’inquinamento cinese nell’acqua
Abbiamo già documentato le conseguenze ambientali disastrose delle scelte politiche cinesi nei confronti del Tibet. Però, l’inquinamento è un problema che riguarda tutta la Cina. Innanzitutto perché l’acqua “scarseggia in varie zone del Paese. Mentre più di tre quarti delle risorse idriche sono situate nel sud del Paese, un cinese su due abita invece nel nord, che del resto è anche molto arido”. A causa di questa situazione, il Partito comunista ha avallato la costruzione di dighe e centrali idroelettriche, causando enormi danni all’ambiente. Problematiche denunciate da Brahma Chellaney sul South China Morning Post: queste infrastrutture hanno fatto sparire oltre 350 laghi e starebbero diventando “uno strumento nelle mani di Pechino per fare pressione sui Paesi vicini”.
Ovviamente, si parla anche di Tibet. Il regime cinese ha creato “una enorme rete di camere a combustibile con l’obiettivo di far aumentare le piogge nella regione fino a 10 miliardi di m³ all’anno, ovvero il 7% circa del consumo idrico del Paese”. In parte, ha degli effetti benefici per la regione, ma collasserebbe con una situazione ambientale lungi dall’essere naturale, attaccando le normali condizioni atmosferiche vigenti.
A queste preoccupazioni si legano quelle delle acque minerali: “l’acqua dei ghiacciai tibetani piace ai consumatori cinesi, che hanno ben poca fiducia nell’acqua che esce dai rubinetti delle grandi città”. Di fatto, “preferiscono l’acqua imbottigliata, se possibile proveniente proprio dagli altipiani del Tibet”. Secondo Facts and Details, circa “un terzo delle acque reflue industriali e oltre il 90% di quelle domestiche finiscono nei fiumi e nei laghi senza alcun tipo di trattamento previo”. Inoltre, “quasi l’80% delle città cinesi non hanno impianti per il trattamento delle acque reflue e nel 90% delle città cinesi le riserve idrologiche sotterranee risultano inquinate”.
Effetti dannosi nell’agricoltura
L’inquinamento cinese sta provocando enormi disagi anche al sistema agricolo locale. Il suolo della Cina risulta fortemente inquinato, “conseguenza anche di una mancanza di politiche adeguate per lo smaltimento e/o riciclaggio dei rifiuti“. TheGuardian riporta che, nel dicembre 2013, circa 3,3 milioni di ettari di suolo agricolo erano inquinati. Inoltre, “secondo stime del ministero competente, ogni anno circa 12 milioni di tonnellate di cereali finiscono al macero, perché sono inquinate da metalli pesanti”. Tuttavia, il ministro dell’Ambiente cinese, Li Ganjie, ha fatto sapere che, per la fine del 2020, la quasi totalità dei terreni agricoli verranno risanati. Visione abbastanza opinabile, visto il grande lavoro di bonifica richiesto.
Smog nell’aria
Non è un mistero che l’inquinamento cinese sia appesantito principalmente dalla quantità di smog presente nell’aria. In particolare, “soprattutto nella Jingjinji Metropolitan Region, cioè la regione capitale destinata a comprendere Pechino, la città portuale di Tianjin e la provincia di Hebei, la fitta cappa di smog rende l’aria spesso irrespirabile”. A confermare ciò ci pensa NZZ, Neue Zurcher Zeitung: “Nella regione il valore medio annuo di PM2,5, ovvero il particolato fine con un diametro minore di 2,5 micron, che può essere respirato e raggiungere i bronchi, supera con 90 microgrammi (µg) per m3 di aria di gran lunga la soglia di 10 µg stabilita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Nel febbraio del 2014, la concentrazione di PM2,5 raggiungeva persino i 505 µg a Pechino”.
Una delle misure per combattere l’inquinamento è stata la diminuzione del consumo di carbone. Ciò nonostante, la situazione resta grave e allarmante, in relazione anche alle questioni burocratiche internazionali. A differenza degli USA, che si sono tirati fuori dagli accordi di Parigi, la Cina è ancora dentro, ma non sembra intenzionata a rispettarne tutte le regole.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante