Dighe e miniere cinesi minacciano l’ecosistema tibetano. Il Parlamento in esilio: “Creiamo consapevolezza”
In merito ai problemi legati l’ecosistema tibetano, le scelte politiche cinesi sono sotto accusa. Infatti, lo sfruttamento ambientale portato avanti dal regime ha gravemente impoverito e indebolito un già fragile equilibrio ambientale. Lo stesso Parlamento tibetano in esilio, durante un evento a Mumbai dell’ottobre 2018, ha espresso perplessità soprattutto per la realizzazione di dighe e le attività minerarie portate avanti nella regione, con conseguenze preoccupanti anche per la qualità della vita delle popolazioni locali.
Lotta cinese alla conquista delle risorse idriche
A NDTV, Youdon Aukatsang, membro del Parlamento tibetano, ha sollevato i danni patiti dell’ecosistema tibetano parlando di una lotta cinese al controllo delle risorse idriche. Sotto stretta sorveglianza ci sono le dighe, in quanto mettono a repentaglio il delicato equilibrio ecologico del Tibet, dell’India e del Bangladesh. Anche quest’ultime hanno patrocinato le accuse mosse contro la Cina, i cui lavori creerebbero inondazioni improvvise e impoverimenti dei corsi d’acqua. Esempio eclatante è la diga di Zangmu, la più alta nel mondo, attiva dal 2014, costruita a oltre 3.300 metri di altitudine e costata 1,5 miliardi di dollari. Si tratta di un’infrastruttura industriale inserita in un progetto più ampio di creazione di dighe lungo il fiume Brahmaputra, che parte dal Tibet e attraversa Cina, India e Bangladesh.
Tali perplessità circolavano già nel 2010. Come riporta La Stampa, inizialmente non si era certi dell’approvazione da parte del governo cinese di questo progetto, “viste la forte spesa, le difficoltà tecniche e i nodi politici da sciogliere”. Tuttavia “sfruttare le risorse energetiche del fiume […] è da tempo il sogno di molti ingegneri”, realizzato da Pechino grazie alla “costruzione della linea ferroviaria tibetana. Lo sfruttamento del Brahmaputra è già in corso. La Cina ha annunciato progetti per cinque dighe più a monte, di cui una già in costruzione a Zangmu”. Considerazioni a cui erano seguite le prime denunce: “Una grossa diga sull’altopiano tibetano sarebbe un grosso esperimento irreversibile di geoingegneria, potrebbe devastare il fragile ecosistema del plateau tibetano”, come dichiarato da Peter Bosshard di International Rivers.
Ecosistema tibetano messo a dura prova dalle miniere
Numerosi timori hanno riguardato altresì le attività minerarie. La denuncia della parlamentare Aukatsang non è la prima, poiché, nel 2015, Radio Free Asia (RFA) portò a galla una crisi ambientale nella regione tibetana di Quinghai. Servendosi una fonte anonima, RFA denunciò le proteste giornaliere – rese vane dalle autorità – portate avanti dalla popolazione tibetana contro alcune miniere di Tsojang, accusate di essere la causa principale della deforestazione nelle montagne e della contaminazione dei corsi d’acqua.
La medesima fonte denunciò un’altra situazione allarmante: “I proprietari stanno guadagnando un sacco di soldi dalle miniere. E per continuare il loro lavoro, pagano le autorità sia a livello provinciale che centrale. In questo modo, quando esponiamo le nostre lamentele, non riceviamo alcun aiuto. Ormai le operazioni minerarie sono a pieno regime senza tenere in alcuna considerazione l’ambiente circostante”. Oltre ai danni per l’ecosistema tibetano, sono stati registrati danni collaterali alla qualità della vita dei tibetani. Ad esempio, il terreno disponibile per pascolare il gregge si è ridotto considerevolmente, oppure l’uso dell’esplosivo ha impedito la proliferazione dei Cordyceps, un fungo parassita usato per le sue proprietà medicinali.
Aukatsang: “Creiamo consapevolezza su quanto accade in Tibet”
Una situazione resa ancora più difficile dal contesto internazionale, in quanto attualmente il Tibet è occupato dalla Cina e il governo in esilio non ha mai ottenuto riconoscimenti legali. “Ma partecipiamo a tutte le COP 12, COP 21, la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici – spiega Aukatsang -. Andiamo a tutte queste conferenze ma siamo anche presenti a conferenze parallele di ONG in cui creiamo consapevolezza su cosa sta accadendo in Tibet. Abbiamo collaborato ad una campagna tibetana che è stata organizzata dal International Tibet Support Group e lavoriamo anche su problematiche legate ai cambiamenti climatici”.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante