Cina, TCHRD: “Ai tibetani arrestati è vietato un processo equo”
I tibetani arrestati dalla Cina non hanno la garanzia di essere tutelati da un processo equo. Ad affermarlo è il Tibetan Centre for Human Rights and Democracy (TCHRD) nel report dello scorso luglio dal titolo “Barriers to Exercising The Right to a Fair Trail in Tibet”, come riporta Radio Free Asia.
Come la Cina non garantisce tutela giudiziaria
Come purtroppo sappiamo, in linea generale i tibetani presenti nel territorio cinese vengono arrestati per motivi politici oppure perché accusati di minare la “sicurezza di stato” o i “segreti di stato” (RFA). A causa di ciò, i detenuti sono anche tenuti in isolamento per mesi, subendo torture e violenze, con il rischio poi di non essere trovati vivi. In questo contesto, come spiega TCHRD, agli arrestati viene negata anche l’informazione secondo cui hanno diritto a una consulenza legale.
Ad aggravare ancora di più la posizione dei tibetani, c’è la difficoltà di poter scegliere autonomamente un avvocato difensore. Addirittura, durante alcuni processi, non è nemmeno assegnata loro una rappresentanza legale. Tra l’altro, chi prova a difendere le argomentazioni tibetane può rischiare l’arresto, come accaduto a Wang Quanzhang. Come se non bastasse, i casi contro i tibetani vengono sistematicamente chiusi al pubblico e ai media.
Il doppio lavoro della procura della Cina
Ma come mai queste notizie di violazione dei diritti umani non filtrano facilmente all’esterno della Cina? Secondo TCHRD, molto è dovuto all’azione della procura cinese, che svolge il ruolo di procuratore e supervisore dei processi, osservando e riesaminando il lavoro di giudici e tribunali, che quindi si traduce “in una mancanza di controllo indipendente” (RFA).
Quindi, ai tibetani in terra cinese non è garantito un processo equo, come afferma a RFA uno dei ricercatori della TCHRD, Pema Gyal: l’indipendenza giudiziaria non esiste, anche perché la Cina nomina giudici che sono favorevoli solo a ciò che aggrada il Partito Comunista Cinese.
Cina e Tibet: una lunga storia di diritti umani negati
La posizione della Cina è aggravata ulteriormente dal fatto che il TCHRD non sa quanti tibetani siano stati arrestati finora. La problematica della condivisione trasparente delle informazioni del governo locale era già stata messa in luce dal CHRD (Chinese Human Rights Defenders), che aveva denunciato repressioni online contro chi indagava sui processi informativi riguardanti il nuovo Coronavirus.
Oltretutto ci sono anche singole storie di persone che hanno sbattuto contro il granitico muro del blocco cinese. Possiamo ricordare, ad esempio, Wangchen, un ragazzo di 20 anni arrestato il 29 aprile 2019 nei pressi di un monastero nella contea di Sershul per aver gridato la richiesta di liberazione del Panchen Lama.
O ancora, Lu Guang, noto anche come il “cavallo oscuro”, arrestato alla fine del 2018 in quanto autore di una mostra fotografica contro l’inquinamento in Cina. Nella lista troviamo anche Tashi Wangchuk, attivista della lingua tibetana, a cui nell’agosto 2019 è stata vietata la visita dei propri avvocati mentre si trovava in carcere. Un fatto più recente, invece, riguarda Xu Zhangrun, docente di diritto arrestato dalle forze dell’ordine della Cina con l’accusa di aver “favorito la prostituzione”, dopo però aver pubblicato diversi saggi contro il regime di Xi Jinping.
Per non parlare dei tanti minorenni, oltre alle monache e ai monaci. Tra questi, ricordiamo ad esempio Palden Gyatso, incarcerato nelle prigioni cinesi per 33 anni. Dopo la sua liberazione, ad opera di Amnesty International, ha girato il mondo per denunciare le torture subite. Prima di morire nel novembre 2018, ha pubblicato il libro “Tibet. Il fuoco sotto la neve“.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante