In Cina è ancora permesso l’uso delle parti del corpo di tigri e rinoceronti nella medicina tradizionale
A fine ottobre 2018, in una circolare governativa, la Cina aveva anticipato provvedimenti per regolamentare e autorizzare il commercio e l’utilizzo di ossa di tigre e corni di rinoceronte nella medicina tradizionale e nella ricerca scientifica, qualora gli animali fossero stati allevati in cattività. Salvo poi fare marcia indietro il 12 novembre a causa di numerose proteste. La questione, però, non è dell’ultimo minuto, ma riguarda anni e anni di illegalità e crimini contro due specie a rischio di estinzione.
Tigri e rinoceronti nella medicina tradizionale: quando se ne cominciò a parlare
Di fatto, il provvedimento della Cina non ha lasciato basite troppe persone. Tutto si basa sul fatto che la medicina tradizionale cinese ha diverse credenze prive di un fondamento scientifico. Come l’idea che il corno di rinoceronte polverizzato possa curare molte patologie, come cancro e gotta. Così, nel 1993, la Cina stabilì pubblicamente che avrebbe messo fine al commercio di parti del corpo di rinoceronti e tigri. Con il termine ‘commercio’ si intende importazione, esportazione, vendita e trasporto.
Ma tutto ciò non ha arrestato il mercato illegale e il consumo domestico, che, anzi, è andato sempre più ad aumentare. Basti pensare che l’impegno della Cina di quell’anno impose la ricerca sui corni dei rinoceronti solamente per identificare dei sostituti da impiegare nella medicina tradizionale. In soldoni, un cane che si morde la coda.
Nel 2010 si cercò di invertire la tendenza. La World Federation of Chinese Medicine Societes, che decide quali ingredienti sono ammessi nella medicina tradizionale, decretò fuori lista i derivati di rinoceronte e tigre. Senza, però, dare un chiaro segnale contro il commercio illegale.
Gli allevamenti e le importazioni di tigri e rinoceronti
In Cina vige un status symbol molto particolare. I ricchi sono soliti acquistare pelli di tigre o indossare denti ricoperti d’oro per sottolineare la loro provenienza aristocratica. Un modo di fare ancora non condannato pienamente dall’opinione pubblica e che viene permesso grazie all’intensivo allevamento e alla smisurata importazione di questi animali. Un’ulteriore riflessione ci viene consegnata dall’Environmental Investigation Agency (EIA): meno del 40% delle tigri vive e morte sequestrate tra il 2010 e la prima metà del 2018 proveniva dalla cattività.
Le tiger farm
Nel 2007, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES) aveva stabilito che le tigri non dovevano essere allevate per il commercio di loro parti del corpo. Nel 2013, l’EIA aveva documentato l’esistenza delle tiger farm, luoghi nei quali venivano allevate migliaia di tigri in Cina. Fattorie esistenti fin dagli anni Ottanta. Paradossalmente, a gestire queste dinamiche sono realtà, nate e approvate dal governo cinese, velate sotto forma di zoo privati e pubblici. Tra le più note, c’è il Tiger Temple, che si è rivelato essere uno snodo importante per il traffico dei felini. Ampliando la visione d’insieme, molte tigri vengono importate da Laos e Vietnam. Molti zoo locali, infatti, sono autorizzati a tenere diversi esemplari per farli riprodurre e ottenere la pasta di tigre, ricavata dopo la bollitura delle loro ossa.
Il mercato d’importazione dei rinoceronti
Analogo discorso anche per i rinoceronti. Secondo i dati di Annamiticus, nel 2006 e nel 2007 la Cina ha dichiarato di aver importato 117 rinoceronti meridionali. Invece il Sudafrica ha messo agli atti l’esportazione di soli 61 esemplari. Dati che non combaciano tra loro e che sottolineano quanta illegalità e disumanità viene portata avanti.
WWF: “Sono specie in via di estinzione”
Dal sito di WWF Italia, i moniti sono chiari. I rinoceronti: “sono comparsi nella terra circa 40 milioni di anni fa e si sono diffusi in Asia, Africa, Europa e Nord America. Oggi delle 30 specie ne rimangono 5 che vivono in Asia e Africa“. Stesso drammatico discorso per le tigri: “nel 2010 da un primo censimento svolto in India, Russia, Nepal, Bangladesh and Bhutan risultavano esserci soltanto 3.200 tigri in natura, oltre il 97% in meno rispetto alla fine del secolo scorso“.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante