Numero 0/2014 |
Editoriale
di Marilia Bellaterra
Nasce quest’anno la nuova Rivista dell’Associazione THAIS – Rivista semestrale di Formazione e Aggiornamento.
Com’è noto l’Associazione AREF International nasce con la precipua finalità di fornire sostegno a persone, famiglie e gruppi sociali che presentano, a diverso titolo, difficoltà, disagi e “bisogni speciali”, in tre principali settori: 1) malattie croniche, rare, terminali e/o particolarmente invalidanti, in ogni fase del ciclo vitale dalla nascita fino alla terza età; 2)dis-abilità psichiche, psicofisiche, sensoriali, psichiatriche e neurologiche; 3) sostegno a distanza, tramite adozioni e sponsorizzazioni, di bambini, adulti, gruppi familiari e sociali appartenenti a differenti culture, etnie, razze e paesi. Al momento le attività prevalenti si sono concentrate nel terzo Dipartimento, con interventi molteplici di Cooperazione Internazionale e con azioni di promozione e diffusione sul territorio Nazionale, in particolare a favore dei Rifugiati provenienti dal Tibet.
Tra gli scopi sociali dell’Associazione vi sono quelli di realizzare materiale di promozione e diffusione, anche telematico e multimediale, oltre alla pubblicazione e divulgazione del materiale proveniente dalle ricerche degli associati e da tutte le altre attività organizzate dall’Associazione. Di questo è un esempio il Libro “Figli dell’Esilio”, pubblicato di recente in occasione del decennale dell’Associazione (Pacini Editore, 2013).
La Rivista THAIS si iscrive nelle azioni di cui sopra e vuole essere strumento di formazione, informazione e confronto per Sosi, Sostenitori, Supporter e per tutte le persone interessate alle azioni dell’Associazione.
La Rivista intende, altresì continuare nell’impegno dell’omonima pubblicazione di proprietà dell’Opera della Scuola Magistrale Ortofrenica “G.F.Montesano” (già registrata al tribunale al n. 482 del 04/11/1993) che in quanto bollettino dell’Ente (Socio ordinario dell’Associazione) ha svolto instancabile opera di formazione e infromazione per oltre venti anni.
Sono, pertanto onorata di essere Direttore responsabile di questa Rivista che con un rinnovato impegno per il futuro, trova le sue radici in una tradizione storicamente forte a garanzia di competenza e impegno.
Il numero 1 di questa nuova Rivista inizierà con un aggiornamento sulla attuale situazione del Tibet, quale strumento utile per quanti voranno avere aggiornamenti sul Paese che raccoglie il massimo delle nostre attenzioni e del nostro operato professionale.
Sono previste, al momento le Sezioni: Itinerari (con sviluppo di tematiche di Cooprazione Internazionale), Agenda (con gli aggiornamenti sulle attività dell’Associazione), Comunicazioni.
Nei prossimi numeri ci saranno tutte le caratteristiche sulla configurazione iostituzionale della Rivista. A tutti … buona lettura
Itinerari
Senza Tibet – Marilia Bellaterra
Nel 2014 ricorrono alcune date importanti per il popolo Tibetano. Il 25° anniversario del conferimento del Premio Nobel per la pace al XIV Dalai Lama, i 66 anni dalla Dichiarazione dei Diritti Umani che le Nazioni Unite vollero adottare a riconoscimento del comune grado di libertà di cui ogni popolo e nazione dovrebbero godere. Il 55° anniversario dell’occupazione e dell’insurrezione di Lhasa. E il 5° anniversario dall’inizio di quella catena di autoimmolazioni che, dal 1989 ad oggi, ha visto una interminabile schiera di Tibetani – uomini e donne, monaci e laici, madri e padri di figli anche molto piccoli – sacrificare la loro vita per la Libertà del loro Paese. Ad oggi il Tibet, un giorno paradiso remoto e libero si sta trasformando in un lontano ricordo. In una terra occupata e militarizzata dove è in atto un vero e proprio Genocidio per diluizione. In un’area virtuale dove la lingua, le antiche tradizioni culturali e religiose rischiano di scomparire per sempre, assorbite dalla sinizzazione incalzante e dalla più feroce delle occupazioni. E dove la strenua resistenza anti-imperialista dei Tibetani è troppo esigua per contrapporsi a un sistema di controllo militaresco e violento. Chi può farlo, abbandona cioè che un tempo era la propria Patria o affida ad altri i propri figli perché facciano altrettanto. E cerca di mantenere, in Esilio, la propria identità, a dispetto di ogni evidenza. In una diaspora che conta oltre 150.000 profughi, sparsi in India, Nepal, Bhutan, America, Canada, Europa. Ma i Tibetani, in Tibet o in Esilio, pagano qualunque prezzo – anche la vita – pur di mantenere le proprie radici, lingua, religione e cultura. E pur di trasmettere al mondo un’ineludibile richiesta di visibilità e di rispetto per il proprio diritto alla Libertà e all’autodeterminazione. Ricordandoci che tutelare i diritti della loro Patria significa difendere i diritti attuali o futuri di ciascuno di noi.
Il Tibet storico comprendeva tre regioni o province: U-Tsang, Amdo e Kham. Aventi in comune non solo la stessa geografia e la stessa topografia ma anche la stessa cultura, lingua e religione. La costituzione nel 1965 da parte del Governo di Pechino della TAR (Regione Autonoma del Tibet, composta dall’U-Tsang e una piccola parte del Kham) insieme all’assorbimento dell’Amdo e di quasi tutto il Kham, da parte della province cinesi di Quinghai, Gansu, Sichuan e Yunnan è, di fatto, un’aperta violazione della Legge. E dell’articolo 4 della Costituzione che riconosce il diritto alle minoranze etniche all’autonomia regionale “nelle aree in cui tali comunità vivono”, oltre il diritto di costituire organismi di autogoverno per esercitare il potere di autonomia.
Indice
1. LO STATO DEI FATTI
1.1. L’ocupazione
1.2. L’insurrezione del 1959 e la diaspora
1.3. La rivoluzione culturale e la sinizzazione del Tibet
1.4. Tra “Via di Mezzo” e Indipendenza
1.5. Dagli scioperi della fame alle autoimmolazioni
2. LA STRUTTURA GOVERNATIVA DEL TIBET IN ESILIO
2.1. Il Dalai Lama
2.2. La Central Tibetan Administration (CTA)
3. AZIONI GOVERNATIVE INTERNAZIONALI
3.1. Causa per Genocidio all’ex Presidente cinese Hu Jintao
3.2. Petizione contro l’ammissione della Cina all’UNHRC
3.3. Azioni parlamentari per il Tibet
4. AZIONI GOVERNATIVE NAZIONALI
4.1. Associazioni di Comuni, Regioni, Province per il Tibet
4.1. La provincia Autonoma di Bolzano
4.2. Commissione Affari Esteri Camera dei Deputati e Attività parlamentare della XVI Legislatura
4.3. Intergruppi per il Tibet in Italia
5. COSA POSSIAMO FARE
6. BIBLIOGRAFIA
6.1. Alcuni Libri del Dalai Lama
7. LINK UTILI
7.1. Governo Tibetano in esilio
7.2. Organizzazioni e Network di supporto alla Causa del Tibet
7.3. Siti di notizie e informazioni
7.4. Associazioni, Organismi e Istituti Buddisti in Italia di supporto al Tibet
7.5. Siti di Campagne Internazionali per il Tibet libero
7.6. Radio Tibetana
1.1. L’occupazione
La questione Tibetana ha inizio il 7 ottobre del 1950 quando 40.000 uomini dell’Esercito della Repubblica Popolare cinese, proclamata nel 1949, invade il territorio tibetano, attaccando la città di Chamdo nel Tibet orientale. Inizia in quel momento l’occupazione militare del Tibet che raggiungerà l’apice il 9 settembre 1951 con la marcia su Lhasa. Nel frattempo, a Novembre 1950 i reggenti di Lhasa proclamano ufficialmente Tenzin Ghyatso, all’età di 16 anni, XIV Dalai Lama del Tibet, conferendogli i pieni poteri politici e religiosi.
Nell’aprile del 1951 il Dalai Lama inviò in Cina una delegazione a fini interlocutori ma senza mandato di firmare alcun accordo. Ma i rappresentanti di Lhasa, sottoposti a pressioni, il 23 maggio del 1951 furono costretti a firmare con i rappresentanti di Pechino un accordo in 17 punti (“trattato di liberazione pacifica”) in base al quale i Tibetani riconoscevano la sovranità cinese e permettevano l’ingresso anche a Lhasa di un contingente dell’esercito per programmare una serie di riforme. In cambio, le autorità cinesi si impegnavano a non occupare il resto del Paese e non interferire nella politica interna. L’esercito potè quindi entrare a Lhasa nel settembre 1951, portando così a termine la prima fase dell’occupazione del Tibet. Durante questo periodo la Cina estese il suo controllo militare, logistico e politico sul Tibet. E a nulla valse una lunga visita del Dalai Lama a Pechino dove ebbe diversi incontri con Mao Tse Tung. Al suo rientro in Tibet la situazione era gravemente peggiorata e i Tibetani avevano risposto alle innumerevoli angherie e violenze dando vita a un vasto movimento di resistenza attivo in tutta la parte Nord orientale del Paese, chiamato Gu-shi Gandruk (Gu-shi vuol dire 4 fiumi e Gandruk vuol dire 6 catene montuose, così come le regioni dell’Amdo e del Kham erano chiamate dai Tibetani.).
Con l’inaugurazione nel 1955 del Comitato preparatorio per la TAR, lo scioglimento del Governo Tibetano divenne effettivo e vennero imposte, al di fuori della TAR le così dette “riforme democratiche”. Secondo stime attendibili, alla fine del 1957 circa 100.000 guerriglieri Khampa combattevano per la libertà del Tibet, senza alcuna possibilità di paragone con l’esercito cinese, composto di 150.0000 uomini, armati e addestrati di tutto punto. Tra il 1957 e il 1958, alle incursioni della guerriglia, Pechino rispose colpendo indiscriminatamente la popolazione civile, bombardando villaggi, uccidendo monaci, distruggendo Monasteri, uccidendo chiunque fosse sospettato di aiuti ai partigiani e dando corso a un vero e proprio genocidio. In breve anche a Lhasa la situazione divenne intollerabile e produsse una rivolta cui partecipò l’intera popolazione.
1.2. L’insurrezione del 1959 e la diaspora
Nel corso di questa insurrezione, che ha il suo culmine il 10 marzo 1959, l’esercito schiacciò la popolazione con un bilancio (da marzo a ottobre) di 87.000 morti tra i Tibetani. Per evitare ulteriori ritorsioni sulla popolazione, ben determinata a proteggere il Dalai Lama anche a costo della propria vita, a seguito del bombardamento della sua residenza a Lhasa, il Dalai Lama fuggì verso l’India il 17 marzo 1959, insieme al suo Governo e molti Tibetani, scortato dai guerrieri Khampa. Dopo una sosta presso il villaggio Lhuntse Dzong, sperando in un possibile rientro, venne formato un Governo provvisorio e ripresa la fuga verso l’India. Dove il Dalai Lama giunse dopo un viaggio durato due settimane, accolto da 6 militari di origine Gurka dell’esercito di Nuova Delhi, in segno di benvenuto. Era il tardo pomeriggio del 30 marzo 1959. Il Dalai Lama, all’età di 24 anni, stava iniziando quella vita da profugo che dura ancora oggi …
La battaglia di Lhasa cominciò nella notte tra il 19 e il 20 marzo e vi perirono almeno 20 mila Tibetani. Quella rivolta di popolo fu la risposta all’invasione delle truppe dell’Esercito comunista cinese che la definirono una “liberazione dalla schiavitù”, ovvero la fine del potere feudale dei Lama e degli aristocratici, per sostiturlo con quello del regime comunista di Pechino. Il mattino del 20 marzo il palazzo del Norbulinka (residenza estiva del Dalai Lama, da cui era fuggito pochi giorni prima) era un cumulo di macerie. Nel pomeriggio vennero bombardati il Potala Palace, il Jokang, il Centro di Medicina, i Monasteri, le abitazioni private. Le barricate che erano state erette venivano spazzate via a colpi di mortaio. La gente combatteva una lotta impari nelle strade, preferendo “morire in piedi, piuttosto che vivere in ginocchio”. Nel pomeriggio del 22 marzo i cingolati di Pechino erano ormai padroni della situazione e le truppe armate procedevano a rastrellamenti, arresti, esecuzioni sommarie. Il 29 aprile dello stesso anno il Governo tibetano in esilio si insediò nella località indiana di Mussoorie. Nel maggio 1960, il Governo Tibetano in Esilio con il nome di Central Tibetan Administration (CTA), fissò la sua sede a Dharamsala, nell’Himachal Pradesh.
Mentre in Tibet decine di migliaia di Tibetani venivano imprigionati, la politica delle “riforme democratiche” portava allo spopolamento dei monasteri, all’arresto di moltissimi monaci, al saccheggio delle proprietà monastiche alle sedute di rieducazione forzata. La successiva occupazione integrale del Tibet è stata immediata, insieme alla dichiarazione di illegalità del Governo Tibetano. Il 1 ottobre 1960 il Dipartimento di propaganda Politica del PLA (Esercito Popolare di liberazione) produsse un documento segreto in cui affermava che, tra marzo 1959 e ottobre 1960 erano stati uccisi più di 87 mila ribelli tibetani. Dal 1962 circa 70.000 Tibetani abbandonarono il loro paese, cercando rifugio in Nepal e India. E qui possiamo dire che termina la fase prettamente militare dell’occupazione.
1.3. La Rivoluzione culturale e la sinizzazione del Tibet
I successivi dieci anni, dal 1966 al 1976 segnano la seconda fase dell’occupazione, quella della rivoluzione culturale che termina con la morte di Mao. In questa fase inizia la sinizzazione intensiva del Tibet e la cancellazione sistematica di qualunque traccia della cultura tibetana. Al termine restano solo 8 Monasteri dei 6259, tutti i tesori reperiti all’interno costituiscono bottino di guerra, il resto è distrutto. Da quel momento in poi il Tibet viene smembrato e costituita la TAR con annessione di larga parte del territorio alle Province cinesi. L’indottrinamento della popolazione diventa martellante. Inizia l’imposizione delle “riforme democratiche” attraverso “sessioni di lotta” collettive, i famigerati “thamzing”, veri e propri linciaggi pubblici delle persone identificate come contro rivoluzionarie. A ciò si aggiunse la grande carestia che devastò la Repubblica Popolare Cinese tra il 1958 e il 1962 e, nel 1967, la Rivoluzione Culturale completò l’opera di annientamento della cultura tibetana. Lo stesso Panchen Lama che era rimasto in Tibet, scrisse una lunga lettera di critica a Mao Tse Tung, a seguito della quale fu processato e sparì nella carceri cinesi, da cui poté riemergere solo nel 1978.
Intanto in Tibet continuava la guerriglia, ad opera dei guerrieri Khampa, anche con gli aiuti e l’addestramento degli USA. Ma nel febbraio 1972, Mao, in occasione della visita di Nixon pose la condizione, per allacciare rapporti diplomatici, che venisse sospeso ogni aiuto alla guerriglia tibetana. Nel luglio il supporto dell’America si interrompe, i Tibetani continuano da soli, attaccando dal Nepal, fino a che il Governo nepalese, venuto meno il sostegno americano, obietta alla loro presenza nel proprio territorio e nel 1974 il Dalai Lama, temendo un conflitto, invia un messaggio, registrato, di interrompere la lotta, dicendo – per la prima volta – che la lotta sarà portata avanti con mezzi non violenti.
Nel 1979, con Deng Xiaoping, inizia una nuova fase: quella dell’aggressione demografica che dura tuttora. Cioè la politica di annullamento dell’etnia Tibetana, a favore dell’etnia Han. Basti considerare che nel Tibet storico oggi vivono 10 milioni e forse più di Cinesi contro 6 milioni di Tibetani. A sostegno di tale progetto vengono inaugurate, sotto l’apparenza di progresso e modernizzazione, opere tecnologiche avanzate. Come il così detto “treno del cielo” che collega Pechino-Lhasa (il cui l’ultimo tratto Golmud-Lhasa, inaugurato nel 2006 è costato ben 5 miliardi di euro) e che porta 500 mila “turisti” cinesi in Tibet, molti dei quali sono, in effetti, coloni che rimarranno in Tibet per sempre.
Perciò la beffa del 1950, quando l’Esercito di Liberazione occupò il Tibet, con la promessa di un “paradiso socialista” è rimasta tale. Rivelandosi colonialismo brutale, assimilazione culturale, marginalizzazione economica, distruzione ambientale. Mentre la Lingua è destinata a svanire, sostituita in Tibet dal mandarino, a partire dalle classi elementari. Per non parlare della Libertà di religione, di Stampa e di Pensiero, del tutto negate anche in forza delle sessioni di “Ri-educazione patriottica”. Oltre alla distruzione del patrimonio ambientale, alla deforestazione intensiva, ai danni all’ecosistema, all’allontanamento dei Nomadi, allo sfruttamento indiscriminato di risorse naturali (rame, oro e acqua compresi). Tutte azioni che hanno e, anco più avranno in futuro, avranno il loro effetto negativo ben oltre l’altipiano.
1.4. Tra “Via di Mezzo” e Indipendenza
Dal 1979 al 1984 il Dalai Lama cerca in ogni modo ma senza successo di aprire un dialogo sino-tibetano. Nel 1987 a Washington, annuncia il suo Piano di Pace in 5 punti e il 15 giugno dell’anno successivo, dinanzi al Parlamento Europeo a Strasburgo, annuncia di non rivendicare più l’Indipendenza del Tibet ma una “genuina Autonomia” di tutte le zone Tibetane all’interno della Repubblica Popolare Cinese, nel quadro della costituzione. E’ quella scelta politica che definisce “Via di Mezzo”, mutuandola dalle parole del Bhudda storico che parlava della via di mezzo come via per raggiungere la salvezza e il Nirvana, a metà strada tra vita sregolata e ascetismo estremo. In modo analogo, quindi, il Dalai Lama asserisce di rifiutare sia l’annullarsi del Tibet, sia la sua Indipendenza piena, a favore di una “genuina autonomia”.
Anche questo tentativo di mediazione non produce però alcun effetto, mentre a Lhasa tra il 1987 e il 1989 si susseguono tumulti e dimostrazioni a sostegno dell’Indipendenza. Di nuovo la popolazione di Lhasa insorge nel 1987-1988. Nel 1987 la popolazione di Lhasa appicca il fuoco alla stazione di Polizia del Bharkor, la polizia cinese spara sulla folla e il 30 aprile 1989 in Tibet viene dichiarata la Legge marziale, poco dopo il massacro di piazza Tienanmen a Pechino. Nello stesso anno il Dalai Lama è insignito del premio Nobel per la Pace e, a partire dal 1990, ha intensificato gli incontri con Capi di stato e parlamentari, divenendo il simbolo della lotta per l’autodeterminazione dei popoli.
Negli anni Novanta la Cina limita tutti gli aspetti dell’autonomia tibetana, identificandoli come “nazionalismo tibetano”, religione e lingua comprese. Continuando a perseguire gli obiettivi della colonizzazione, della restrizione dell’autonomia, della repressione della resistenza e dello sradicamento dell’influenza del Dalai Lama. E iniziando, in particolare dal 1996, una “rieducazione” intensiva all’interno dei Monasteri. E anche negli anni successivi, il quadro non cambia, dal momento che i 9 colloqui negoziali che si svolgono tra il 2002 e il 2010 tra gli inviati del Dalai Lama e quelli di Pechino non portano alcun risultato, mentre il Governo cinese continua nella sua politica di repressione e nel considerare il Dalai Lama un traditore e un separatista in cerca di indipendenza, mascherata da autonomia. il 3 giugno del 2012 Lodi Gyari e Kelsang Gyaltsen, delegati del Dalai Lama per tutti i 9 colloqui si dimettono, a causa del “totale rifiuto” da parte del Governo di Pechino per il Memorandum sulla “genuina autonomia”.
Ad oggi, dopo mezzo secolo di occupazione, dopo migliaia di arresti, processi farsa condotti a porte chiuse, conclusi con pene che vanno fino all’ergastolo, dopo che l’espressione pacifica di opinioni politiche è stata classificata come “minaccia alla sicurezza nazionale” e la tortura è dilagante e diffusa, dopo che giornalisti, diplomatici, inviati ONU non hanno diritto di accesso o solo dietro stretta sorveglianza, il Governo di Pechino non batte ciglio né cambia opinione: il Tibet è cinese! E ogni interferenza di altri Stati nella politica interna è sgradita e rischia ritorsioni economiche immediate. In questo clima di fallimenti negoziali, dell’aumento della capacità di pressione del Governo di Pechino e della cautela di molti Governi “amici” del Tibet (per i quali la Ragion di Stato fa i conti con la crisi finanziaria e non solo con i principi) e di fronte all’evidenza che la “genuina Autonomia” potrebbe rimanere per sempre un “sogno” si alza, sempre più forte la voce di chi dissente dalla politica della “via di mezzo”, rivendicando per il Tibet il diritto all’Indipendenza. E sempre più giovani e movimenti lottano – dentro e fuori dal Tibet – per un diritto alla reale Libertà del proprio Paese.
1.5. Dagli scioperi della Fame alle autoimmolazioni
Il 10 marzo 1998 a New Delhi 6 militanti del Tibetan Youth Congress (5 uomini e una donna) iniziano uno sciopero della fame a oltranza per sostenere le richieste della Commissione Internazionale dei Giuristi (CIG) di Ginevra di un intervento delle Nazioni Unite. Lo sciopero viene interrotto forzatamente dalla Polizia indiana al 49° giorno e successivamente, Thupten Ngodup, un Tibetano di 50 anni che aveva accudito i digiunatori fin dall’inizio della lotta, si dà fuoco per protesta e muore dopo pochi giorni. Il secondo caso di autoimmolazione con il fuoco avviene a Mumbai alla fine del 2006 con Lhakpa Tsering, Presidente del Regional Tibetan Youth Congress di Bangalore. E all’inizio del 2009 con Tapey, un monaco di 24 anni del Monastero di Kirti che si da fuoco in Amdo. Da quel momento, a partire del 2011, il ritmo di autoimmolazioni diventa serrato. Inizia così una lunga serie di uomini e donne, monaci, monache e laici che scelgono questa forma estrema di protesta per dare visibilità alla causa del Tibet, in nome di un’esasperazione che non accenna a diminuire. Ad oggi oltre 140 persone si sono immolate, di cui almeno 120 in Tibet. Molti di loro sono morti sul posto, altri dopo giorni di agonia. Di molti, portati via dalla Polizia, si sono perse le tracce. Qualcuno è sopravvissuto. Tanti sono preadolescenti e addirittura genitori di figli piccolissimi. Ormai la Polizia di Pechino aggiunge alle armi di ordinanza anche un estintore …
I Tibetani che si danno fuoco vogliono l’Indipendenza del Tibet e chiedono di riprendere la Lotta ma una Lotta non Violenta. Con Gandhi come modello. Il Satyagraha Gandiano prevedeva, scioperi, boicottaggi, disobbedienza civile, non-cooperazione politica, era “lotta” non violenta per la completa indipendenza dell’India. La parola deriva dai termini in sanscrito satya (verità), la cui radice sat significa Essere/Vero, e agraha (fermezza, forza). Il termine porta con sé l’idea di “ahimsa”, cioè assenza di danneggiamento. Questa forma di lotta non violenta segna una nuova pagina per il Tibet, perché il Tibetani chiedono al CTA non un aiuto generico ma che il Dalai Lama torni in Tibet e l’Indipendenza per il loro Paese. E perché testimonia il forte e incrollabile senso di identità culturale del Popolo Tibetano. Così come l’azione nel 2008 nel Tibet Orientale quando migliaia di studenti hanno strappato in strada le pagine dei libri, imposti per la formazione e scritti solo in Cinese. Come il movimento di identità nazionale iniziato nel 2008, denominato Lhakar (mercoledì bianco, perché di Mercoledì è nato il Dalai Lama) che prevede un giorno alla settimana, appunto di parlare, vestire e mangiare rigorosamente in Tibetano. E come il Tibetan National Congress, nato a Febbraio del 2013, di ispirazione Gandhiana, sulla falsariga di quell’Indian National Congress che portò l’India all’Indipendenza … O come la “Marcia fino al Tibet”, organizzata pochi mesi prima dell’apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, nel 2008, per mobilitare l’opinione pubblica internazionale sull’irrisolta situazione tibetana che pur in mancanza di dati certi, riguarda circa 150 mila Tibetani fuori dal Tibet e 6 milioni all’interno del Tibet, destinati a diventare minoranza, nel loro stesso Paese.
2. LA STRUTTURA GOVERNATIVA DEL TIBET IN ESILIO
Sebbene la storia dello stato tibetano abbia inizio nel 127 a.C. quando prese il potere la dinastia Yarlung, il Paese fu unificato per la prima volta nel settimo secolo sotto il re Song-tsen Gampo. Durante i tre secoli seguenti il Tibet fu una delle più grandi potenze dell’Asia come testimonia l’iscrizione riportata su una colonna alla base del palazzo del Potala, a Lhasa. Inoltre, un trattato di pace fra la Cina e il Tibet fu siglato negli anni 821-823, delineando i confini tra i due paesi e affermando che “i tibetani potranno vivere felici nel Tibet e i Cinesi in Cina”. Tra il 1911 e il 1950 il Tibet operò, sotto ogni punto di vista, come uno stato completamente indipendente. Intrattenne relazioni diplomatiche con il Nepal, il Bhutan, la Gran Bretagna e più tardi con l’India indipendente, mentre le relazioni con la Cina si mantennero tese viste le pressioni ufficiali affinché il Tibet confluisse nella Repubblica cinese e l’asserzione che i tibetani fossero una delle cinque razze cinesi.
Nel tentativo di attenuare la tensione sino-tibetana, gli Inglesi convocarono, nel 1913 a Simla, una conferenza tripartita nella quale i tre stati si incontrarono a pari condizioni e il Tibet prese parte alla conferenza come una nazione indipendente che non riconosceva alcun legame con la Cina. La conferenza non ebbe un esito positivo poiché non riuscì a risolvere le controversie esistenti tra Cina e Tibet ma fu importante perché nella dichiarazione congiunta la Gran Bretagna e il Tibet si impegnarono a non riconoscere mai la sovranità cinese o altri diritti speciali sul Tibet a meno che la Cina non avesse sottoscritto la Convenzione di Simla (mai sottoscritta) che, tra l’altro, garantiva al Tibet una più ampia estensione, l’integrità territoriale e la piena autonomia. Quando l’India divenne indipendente la missione britannica a Lhasa fu sostituta da una missione indiana. Durante la seconda guerra mondiale il Tibet assunse una posizione neutrale nonostante forti pressioni esercitate dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Cina affinché venisse consentito il passaggio di armamenti in territorio tibetano.
Il Tibet dal punto di vista giuridico non ha mai perso la sua caratteristica di Stato. È una nazione indipendente oppressa da una occupazione illegale. Né l’invasione militare cinese né l’occupazione continua da parte dell’Esercito di Liberazione della Repubblica Popolare della Cina hanno potuto trasferire la sovranità del Tibet alla Cina. Né lo stesso Governo cinese ha mai rivendicato di aver acquisito la sovranità sul Tibet per mezzo della conquista, visto che anche la Cina riconosce che l’uso o la minaccia della forza e la continua, illegale occupazione di un Paese non possono in alcun modo garantire all’invasore il diritto di proprietà del territorio occupato. Pertanto le rivendicazioni cinesi sono basate esclusivamente sul preteso assoggettamento del Tibet da parte di pochi potenti governanti cinesi durante il tredicesimo e il diciottesimo secolo.
2.1. Il Dalai Lama
Il Dalai Lama è stato la più alta autorità teocratica del Tibet, essendo la massima autorità spirituale del Buddhismo tibetano sin dagli inizi del Seicento, e (dal 1959 fino all’11 marzo 2011) il Capo del Governo tibetano in esilio. Il titolo di Dalai lama è tratto da una combinazione della parola mongola Dalai, che significa “Oceano” e Lama equivalente tibetano del termine sanscrito “guru”, ovvero “Maestro spirituale”. Dalai Lama sarebbe dunque traducibile come “Maestro oceano”, o meglio “Oceano di saggezza”. Questa denominazione fu attribuita nel 1578 da Altan Khan, sovrano dell’Impero mongolo al monaco buddista tibetano Sonam Gyatso aderente alla scuola Gelug (dei berretti Gialli) e Abate del monastero di Drepung, a Lhasa, il più grande Monastero del Tibet. Sonam Gyatzo era considerato un Lama reincarnato e pertanto attribuì il titolo di Dalai Lama in modo retroattivo alle sue precedenti incarnazioni (Gendun Gyatso e Gendun Drup), divenendo, in tal modo, il terzo Dalai Lama del Tibet. Successivamente, con il sostegno dei monarchi Mongoli, il Quinto Dalai Lama fu nominato Sovrano assoluto del Tibet, che divenne una Teocrazia lamaista (cioè una forma di governo in cui il potere politico è stabilito su base religiosa). Le sue residenze a Lhasa, furono il Palazzo del Potala e il Norbulingka (Palazzo d’Estate).
Il Dalai Lama è venerato dai buddhisti come manifestazione di Cenresig, il Buddha della Compassione e i Tibetani si rivolgono a lui chiamandolo Kyabgon, il “Salvatore”, oppure Kundun, “la Presenza”. Quando un Dalai Lama muore, si avviano le indagini per scoprire la sua reincarnazione avvalendosi di oracoli, interpretando i presagi e i sogni. Una volta che la reincarnazione viene identificata, solitamente in un bambino molto piccolo, si da inizio al suo percorso di studi, affidando fino alla sua maggiore età il potere esecutivo a un Reggente.
L’attuale Dalai Lama del Tibet, il quattordicesimo, è Tenzin Gyatso, nato a Taktser, nell’Amdo, il 6 luglio 1935.
Malgrado la figura del Dalai Lama sia secolare e rappresenti un caposaldo per tutta la cultura tibetana, la Cina ha deciso di arrogarsi il diritto di nominare in futuro le nuove reincarnazioni di questa importante carica religiosa. Il primo passo in tal senso è stato compiuto già nel 1995 quando è stato rapito Gedhun Choekyi Nyima, all’età di 6 anni, che era stato identificato dal Dalai Lama come possibile reincarnazione del decimo Panchen Lama. Di lui (ufficialmente “sotto tutela protettiva”) si sono perse le tracce ed è considerato, per questo, il prigioniero politico più giovane del mondo. Mentre a Pechino veniva nominato un nuovo Panchen Lama, nella persone di Gyancain Norbu. Il Panchen Lama è la seconda figura religiosa per importanza, dopo il Dalai Lama, di cui a volte è insegnante e altre allievo. Nel settembre 2007, la Cina ha affermato che addirittura tutti gli alti monaci tibetani dovranno essere nominati dal suo Governo e che, in futuro, questi dovranno eleggere il quindicesimo Dalai Lama sotto la supervisione del “falso” Panchen Lama da loro nominato.
2.2 La Central Tibetan Administration (CTA)
Ad oggi Il popolo tibetano, all’interno e al di fuori del Tibet, considera l’Amministrazione Centrale Tibetana (CTA) come suo unico e legittimo Governo. I principi inviolabili del rispetto della verità, della non violenza e della democrazia, ai quali la CTA ispira il proprio operato, le hanno valso il riconoscimento di legittimo rappresentante del popolo tibetano anche da parte dei parlamenti e dell’opinione pubblica di tutto il mondo. Ciononostante, la CTA non è destinata a governare in un futuro Tibet libero. Nelle sue “Linee Guida per la Futura Politica del Tibet e Principali Aspetti della sua Costituzione”, il Dalai Lama ha stabilito che l’attuale Governo in Esilio si scioglierà nel momento in cui il Tibet avrà ottenuto la propria libertà. Saranno i tibetani residenti all’interno del paese a scegliere i propri rappresentanti. Il Dalai Lama ha inoltre più volte espresso la propria intenzione di non voler ricoprire alcuna carica all’interno di un Tibet libero, ma di voler essere soltanto un semplice monaco.
La CTA si è sempre adoperata non solo per garantire ai profughi alloggio, istruzione e autosostentamento ma anche per porre le basi di un sistema democratico. Il 2/9/1960 è stata istituita la Commissione dei Deputati del Popolo Tibetano e l’Assemblea dei Deputati del Popolo Tibetano, con potere legislativo. Nel 1990 il Dalai Lama ha portato a 46 il numero dei componenti l’Assemblea alla quale è stato dato potere di eleggere il “Kashag”, il Consiglio dei Ministri. Ad essa è stata affiancata la Commissione di Giustizia, con potere, appunto, giudiziario. E la nuova Assemblea dei Deputati del Popolo Tibetano ha emanato una Costituzione denominata “Carta dei Tibetani in Esilio”.
Nel 2001, con un emendamento alla Costituzione, l’Assemblea dei Deputati del Popolo Tibetano ha votato a favore dell’elezione diretta del Primo Ministro (il “Kalon Tripa”, la più alta autorità dell’esecutivo che designa al Parlamento i candidati ai Ministeri).
Il primo “Kalon Tripa” eletto direttamente dal popolo nel 2001, con mandato quinquennale, è stato Lobsang Tenzin, noto come professor Samdhong Rinpoche. Dopo il suo secondo mandato, il 20/03/2011 si sono svolte le votazioni per l’elezione del suo successore. Lo spoglio delle schede (quasi 50.000) ha sancito la vittoria del dottor Lobsang Sangye, nominato Kalon Tripa, con il 59% delle preferenze sugli altri due candidati. Il giorno 8 agosto 2011, Lobsang Sangay ha prestato giuramento come Kalon Tripa e il 20 settembre il 15° Parlamento Tibetano in Esilio ha cambiato il titolo di Kalon Tripa in quello di Sikyiong, già utilizzato dal Dalai Lama in un precedente discorso. Sikyong è una parola tibetana che vuol dire “Leader politico”, come ben distinto da “Leader religioso”, che, per il popolo tibetano continua a essere il Dalai Lama.
In seguito alla devoluzione dei poteri politici del Dalai Lama (sanciti nell’articolo 19 della Costituzione), il Primo Ministro può approvare e promulgare le leggi e i regolamenti espressi dal Parlamento Tibetano in Esilio. Altri compiti, di precedente competenza del Dalai Lama, sono stati devoluti al potere esecutivo o al potere giudiziario. È stato inoltre annullato il Consiglio di Reggenza previsto negli articoli 31-35
3. AZIONI GOVERNATIVE INTERNAZIONALI
E’ qui sufficiente ricordare le risoluzioni adottate dai parlamenti nazionali di Italia, Germania, Belgio, Irlanda, Liechtenstein, Repubblica Ceca, Stati Uniti, Australia, oltre che da organismi internazionali quali l’ONU (23/08/1991), il Consiglio d’Europa (5/10/1988), e il Parlamento Europeo con una serie di risoluzioni a partire dal 1987.
Per Amnesty International il Tibet sta vivendo in uno stato di continua violazione dei diritti Umani. Amnesty ha chiesto a marzo 2009 al Governo di Pechino di consentire l’ingresso agli osservatori e ai giornalisti internazionali e di “mettere fine alle misure estreme di sicurezza che possono solo aumentare la tensione e causare ulteriori violazioni dei diritti umani”. Ha inoltre denunciato “detenzioni e arresti arbitrari, prolungati periodi di carcere, negazione del diritto di espressione, associazione e riunione, nonché del diritto dei Tibetani di preservare cultura, linguaggio e religione”,
Per la Free Tibet Campaign, che ha il proprio quartier generale a Londra, il Tibet si trova “sotto una legge marziale de facto”.
L’International Campaign for Tibet ha pubblicato nel marzo 2009 un rapporto in cui denuncia i numeri della repressione: 600 prigionieri politici arrestati nel corso del 2000, 1.200 Tibetani semplicemente scomparsi nel nulla, centinaia di monaci dei grandi Monasteri di Sera, Drepung e Gaden, da cui erano partite le proteste del 2008, arrestati dalla Polizia negli ultimi mesi.
Nei primi anni dell’Esilio il Dalai Lama si è appellato alle Nazioni Unite per una soluzione della questione Tibetana, L’Assemblea generale, rispettivamente nel 1959, 1961 e 1965, aveva adottato tre risoluzioni nelle quali si esortava la Cina a rispettare i diritti umani dei Tibetani e la loro aspirazione all’autodeterminazione.
Il Parlamento Europeo, dopo aver approvato numerose risoluzioni di condanna delle violazioni dei diritti umani in Tibet, il 13 luglio 1995 ha votato a schiacciante maggioranza un documento in cui il Tibet viene considerato uno stato sotto occupazione illegale. E lo stesso parlamento accoglie ufficialmente il Dalai lama il 23 e 24 ottobre 1996 nella sua sede di Strasburgo.
In Europa il 10 marzo 1996 si tiene a Bruxelles un’oceanica manifestazione per la libertà del Tibet che sarà replicata a Ginevra nel 1997 e a Parigi nel 1998, anno in cui escono anche diversi Film sul Tibet e sul Dalai Lama.
Nel 1997 la Commissione Internazionale dei Giuristi (CIG) di Ginevra pubblica un secondo documento sul Tibet, chiedendo l’intervento delle nazioni Unite e di far discutere durante l’Assemblea dell’ONU il caso tibetano, nominando un Inviato Speciale per le indagini.
Di nuovo il Parlamento Europeo il 6/7/2000 approva una risoluzione in cui si esprime a favore di negoziati tra la RPC e il Dalai Lama, organizzati sotto l’egida del segretario Generale delle Nazioni Unite per un “nuovo status del Tibet che garantisca una piena autonomia dei tibetani in tutti i settori della vita politica, economica, sociale e culturale, con le sole eccezioni della politica di difesa e della politica estera”.
3.1. Causa per Genocidio all’ex Presidente cinese Hu Jintao
Di recente il giudice spagnolo Ismael Moreno ha emesso mandati di arresto per Hu Jintao e altri cinque importanti ex esponenti del Governo cinese per il genocidio tibetano, reiterando le 48 domande, presentate a giugno 2013, direttamente dalla parte offesa: il Comité de Apoyo al Tíbet (CAT) e la Fundación Casa del Tíbet. Le domande erano volte a comprendere la responsabilità e consapevolezza di Hu Jintao delle politiche repressive applicate in Tibet tra il 1988 e il 1992, quando l’ex presidente cinese era segretario del partito nella Regione autonoma. Nello specifico, si chiedeva conto di ferimenti, torture, aborti, sterilizzazioni forzate e assassini avvenuti per mano delle forze dell’ordine cinesi. Così come della legge marziale che Hu Jintao, come segretario del Partito comunista in Tibet, aveva ordinato il 7 marzo del 1989 a seguito di tre giorni di manifestazioni tibetane a Lhasa. Una legge marziale che secondo i querelanti ebbe come risultato 450 morti, 7 mila feriti e 350 scomparsi. L’Alta corte penale spagnola, l’Audiencia, a ottobre 2013 ha deciso di riaprire una causa per genocidio contro l’ex presidente, emettendo un mandato di cattura anche nei confronti di un altro ex presidente cinese Jiang Zemin e di altri quattro alti funzionari. Si è trattato di un gesto clamoroso, destinato ad avere ripercussioni nelle relazioni tra i due Paesi. Di fatto i giudici hanno accolto il ricorso in appello dei legali del Comitato de Apoyo al Tibet (CAT), che ha sede a Madrid e di Thubten Wangchen, direttore della Fundación Casa del Tibet, gruppo di attivisti con sede a Barcellona. Secondo il principio di universalità riconosciuto dal sistema legale spagnolo, chi è accusato di genocidio può essere giudicato fuori dal proprio Paese solo se chi si dichiara vittima del reato è – come il tibetano Thubten – cittadino spagnolo. Nell’ordinanza di arresto, emessa dal giudice Moreno, gli imputati sono accusati di azioni volte “a eliminare l’esistenza” del Tibet attraverso l’imposizione della legge marziale, la deportazione forzata della popolazione e “l’eliminazione progressiva della popolazione autoctona”. Inoltre viene descritta la repressione di polizia e militare in Tibet negli anni 1987, 1988 e 1989 e la politica di imposizione “di aborti e sterilizzazione forzata della popolazione tibetana”.
3.2. Petizione contro l’ammissione della Cina all’UNHRC
Attraverso il Network Avaaz.org il monaco tibetano Thubten Wangchen, fondatore e direttore della Fundación Casa del Tibet di Barcellona, ha lanciato una campagna di raccolta firme contro l’elezione della Cina al Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (UNHRC), in vista delle votazioni di novembre 2013. E valutazioni negative circa il rispetto degli impegni assunti da Pechino in materia di diritti umani erano state già espresse da numerosi stati membri dell’organismo ONU nel corso della Universal Periodic Review.
3.3. Azioni parlamentari per il Tibet
Nel 2009 si è svolta a Roma la 5° Assemblea Mondiale dei Parlamentari per il Tibet che, in quell’occasione ha fondato l’INPaT (International Network of Parliamentarians on Tibet) di cui l’on. Matteo Mecacci è stato vicepresidente assieme all’europarlamentare Thomas Mann nel 2010.
4. AZIONI GOVERNATIVE NAZIONALI
Lo sdegno per le azioni della Repubblica Popolare Cinese nei confronti del Tibet sono facilmente intuibili e condivisibili. Anche se, al momento, nessuna di esse ha avuto un impatto risolutivo, stante la disparità delle forze in gioco e il potere anche economico di pressione esercitato dalla RPC su chiunque scelga di interferire con le sue politiche economiche. Nondimeno vengono qui citate alcune tra le tante iniziative nell’auspicio che, presto, possa essere trovata una soluzione realistica e giusta alla causa del Tibet. In particolare, a seguito della risoluzione precedentemente citata del Parlamento Europeo, numerose Associazioni “pro Tibet” hanno deciso di intraprendere una mobilitazione rivolta a Comuni, Province e Regioni in tutta Europa, chiedendo loro di approvare ordini del giorno analoghi a quello adottato dal Parlamento Europeo, e di accompagnare tale approvazione con il gesto simbolico dell’esposizione permanente della bandiera tibetana, nelle sedi istituzionali.
4.1. Associazione di Comuni, Province, Regioni per il Tibet
In Italia il Consiglio regionale del Piemonte, nella sua seduta del 5/12/2000, ha approvato all’unanimità un ordine del giorno sul “Riconoscimento dei diritti del popolo tibetano” con il quale ha fatto propria la risoluzione del Parlamento Europeo del 6/7/2000, ed ha aderito alla campagna europea “Una bandiera per uno status di piena autonomia per il Tibet”. E’ così che, in occasione dell’incontro tenutosi il 9/3/2002 presso il Consiglio regionale del Piemonte, su iniziativa della Regione Piemonte e con l’adesione dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), gli enti locali aderenti all’iniziativa hanno deciso di costituire l’Associazione di Comuni, Province, Regioni per il Tibet. L’Associazione si propone di promuovere e coordinare la campagna europea “Una bandiera per uno status di piena autonomia del Tibet”, di sostenere presso gli stati membri dell’Unione Europea la risoluzione del Parlamento Europeo del 6/7/2000 a supporto delle azioni del Dalai Lama e della CTA verso la RPC.
4.2. La provincia Autonoma di Bolzano
La Provincia Autonoma di Bolzano è stata tra le prime ad attivarsi nel settore della cooperazione allo sviluppo, con la Legge provinciale n. 5 del 19 marzo 1991 “Promozione delle attività di cooperazione e della cultura di pace e di solidarietà”. E’ ormai da oltre 10 anni che il Governo Tibetano in Esilio è in stretto contato con la Giunta e l’Amministrazione provinciale per lo scambio di informazioni e conoscenze sullo statuto di autonomia e sulla tutela delle minoranze. Infatti uno degli ambiti prioritari dell’attività della Provincia nel campo della cooperazione internazionale è proprio la promozione della pace tramite la tutela delle minoranze linguistiche e culturali, una tematica per la quale l’Alto Adige viene spesso chiamato a svolgere un ruolo di consulenza e di supporto esterno, anche a causa della sua storia, della positiva risoluzione dei conflitti tra gruppi etnici diversi e dell’attuale positiva esperienza di convivenza. In tale ambito sono stati organizzato moltissimi incontri con il Dalai lama e con i Ministri della CTA, in particolare tramite l’impegno diretto di Luis Durnwalder che ha guidato per 25 anni (dal 1989 al 2014) la Provincia autonoma di Bolzano, prima del suo attuale successore Arno Kompatscher.
4.3. Commissione Affari Esteri Camera dei Deputati e Attività parlamentare della XVI Legislatura
La situazione dei diritti umani in Tibet è stata trattata, dal Comitato Diritti Umani della Commissione Affari Esteri, in particolare nella seduta del 11/11/2008, nell’ambito dell’analisi conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo. Già nel mese di Luglio 2008 è stata firmata a nome dell’on Matteo Mecacci una risoluzione sulla situazione dei diritti umani in Tibet (n. 7-00021), approvata dalla Commissione esteri il 02/07/2008. E successivamente, sempre in tema di rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche in Tibet, lo stesso on. Mecacci è stato tra i firmatari di una mozione (n. 1-00089), approvata dall’Assemblea nella seduta del 10 marzo 2009 che nella parte dispositiva impegna il nostro Governo a reiterare al Governo di Pechino le richieste del parlamento europeo di aprire in via stabile e permanente, il Tibet alla stampa, ai diplomatici rappresentanti dell’Unione Europea e agli stranirei in generale. Raccomandando alle autorità cinesi di rispondere positivamente alle richieste di visita avanzate dagli organismi ONU di monitoraggio della situazione dei diritti umani, o per le minoranze. Dal 13/12/2014 l’on. Matteo Mecacci è il nuovo presidente del ICT (International Campaign for Tibet), organizzazione a sostegno del Tibet con sede a Washington DC. E’ ancora da ricordare la risoluzione in Commissione 8-00154 dell’on. Adornato, approvata il 06/12/2011 che impegna il nostro Governo a intervenire con urgenza, sollecitando un’incisiva azione europea, per esprimere al Governo di Pechino la forte preoccupazione rispetto al protrarsi di una situazione di aperta violazione dei diritti umani, culturali e religiosi del popolo del Tibet, nonché per chiedere la ripresa del dialogo tra le delegazioni cinese e tibetana, interrotto nel 2010, nonché ad attivarsi presso tutte le sedi della Comunità internazionale per studiare interventi comuni di sostegno del popolo del Tibet, dei religiosi buddisti e di tutti coloro che, in maniera pacifica chiedono il rispetto dei propri diritti, come sancito dalla Costituzione cinese stessa. Infine l’8 febbraio 2012 la Commissione Affari Esteri ha approvato la risoluzione 8-00160 che impegna il Governo Italiano a sollecitare dalla controparte cinese l’immediata interruzione delle violenze nei confronti della popolazione e dei religiosi tibetani al fine di creare nelle aree popolate dalla minoranza tibetana un clima di dialogo e tolleranza, nonché di chiedere, nel quadro dell’imminente vertice UE-Cina la ripresa del dialogo tra il Governo della Repubblica Popolare Cinese e gli inviati del Dalai Lama, finalizzato all’individuazione di una soluzione condivisa, in grado di permettere alla comunità tibetana in Cina di poter godere di una genuina autonomia e di riaprire il Tibet al mondo esterno, permettendo accesso libero e senza condizione ai media internazionali.
4.4. Intergruppi per il Tibet in Italia
Lo spirito di questi Intergruppi è quello di un impegno nei confronti della causa Tibetana, in senso trasversale ai gruppi politici di appartenenza. Sono stati interessati in tal senso, sia il Parlamento che, per il Lazio, la Regione e il Comune: Intergruppo Parlamentare per il Tibet: formato da oltre 120 parlamentari tra Camera e Senato della Repubblica; Intergruppo sul Tibet al Consiglio regionale del Lazio: Costituito nel 2010. Presidente Rocco Berardo, Vice Presidente Isabella Rauti e 23 componenti dei diversi partiti. Questi alcuni degli obiettivi: promozione dei valori della tolleranza e della difesa dei diritti civili e umani della popolazione tibetana; interventi in ambito istituzionale e nel territorio della Regione per sensibilizzare l’opinione pubblica sul messaggio di tolleranza del Dalai Lama; in difesa del diritto del popolo tibetano alla sua identità e cultura; sostegno alle proposte di dialogo e di autonomia rivolte dal Parlamento e dal Governo tibetano in esilio alle autorità cinesi;Intergruppo per il Tibet al Comune di Roma: Costituito nel 2012. Presidente Andrea De Priamo, Vice Presidente Paolo Masini e 11 Consiglieri di Roma Capitale rappresentativi di 4 gruppi politici (PdL, Pd, Udc e Lista Civica Alemanno) e 4 consiglieri del Gruppo Assembleare Aggiunto.
Questa è, in estrema sintesi, la storia di un genocidio per diluizione le cui conseguenze potrebbero essere irrevocabili e ripercuotersi sulla coscienza di ciascuno di noi. Nell’impegno “dispari” di uomini, Governi, istituzioni che fanno il massimo o il minimo di quanto possibile e dovuto, il tempo passa … I Tibetani si auto immolano con il fuoco e il Dalai Lama gira il mondo, in lungo e in largo. Non solo per impartire gli insegnamenti buddhisti, seguiti da decine di migliaia di fedeli. Ma per incontrare capi di Governo, politici, delegazioni, supporter, confidando che possa essere trovata una soluzione all’occupazione del Tibet, al genocidio per diluizione in corso, all’esasperazione di un Popolo cui per troppo tempo sono stati negati diritti e aspirazioni.
Alcuni politici hanno il coraggio di dare agli incontri con il Dalai Lama (o con i Suoi rappresentanti) una connotazione ufficiale. Altri meno. Per non scontentare né la propria coscienza né la controparte Cinese che incalza, si “offende”, minaccia ritorsioni, pretende, controlla. Molti sperano che la Cina possa fare passi in avanti, rivedere posizioni del passato e fare nuove “concessioni” – di autonomia, di dialogo, di diritti – considerando il futuro, oltre che il presente. Ma sperare che il Governo di Pechino si trasformi in un testimone di Pace non sembra né possibile né reale. Forse un giorno però, il popolo cinese, minerà dall’interno il proprio sistema. E la Cina, al culmine della propria smisurata e sconsiderata espansione, finirà per implodere su se stessa e farà nascere una nuova democrazia. Forse. Nel frattempo il rischio di essere divorati non lo corrono solo i Tibetani, o gli Uiguri o i Falun Gong, altrettanto perseguitati. Lo corre ciascuno di noi perché è anche la nostra economia a pagare il prezzo di uno strapotere economico e militare che sta dettando – e detterà sempre di più, in futuro – i nostri destini.
Per questo giova ricordare che nessuno dei diritti umani di base trova spazio e rispetto nel corpo della repubblica popolare cinese. Che la distanza tra classe al potere e popolazione è siderale. Che i turni di lavoro viaggiano su ritmi di 15 ore, con doppi badge (ufficiale e non), che i suicidi sul lavoro sono all’ordine del giorno, che le condizioni lavorative sono più che disumane, che lo sfruttamento dei bambini lavoratori è prassi comune. Come lo è il traffico di organi, gli aborti forzati, la detenzione e la tortura fino alla morte nei Laogai (o in ciò che, solo formalmente, li ha sostituiti) anche per semplici reati di opinione, l’assenza di libertà di stampa e di pensiero. Per non parlare della bolla edilizia in Cina, delle città cancerogene a causa dell’inquinamento, dei fiumi neri e schiumosi come l’inchiostro per i prodotti chimici immessi, dell’estinzione dei pesci nel Fiume Giallo (di recente divenuto color mattone), delle piogge acide, della morte del mare di Bohai, il più inquinato della Cina che, secondo l’Amministrazione statale oceanica, ogni anno riceve 5,7 miliardi di tonnellate di acque luride e 2 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi. E per non ricordare l’indice di qualità dell’aria, il cui livello di pericolo si tocca per valori superiori a 300 µg/m³ di polveri sottili, incredibilmente superati con la soglia di 880 nella città mineraria di Xingtai (che ogni anno produce 20 milioni di tonnellate di carbone oltre a ospitare una centrale elettrica a carbone da 2 GW, combinazione letale per i suoi sei milioni di abitanti) e 1,4 milioni di morti per inquinamento nel solo 2010. Con una nota che, se non fosse tragica sarebbe comica: il recente maxischermo in piazza Tienanmen che manda immagini di tramonti multicolori. Visto che nessun tramonto “vero” può essere visto a Pechino, a causa dello smog. Vogliamo davvero che anche la nostra vita e quella dei nostri figli segua lo stesso destino? La questione non è né generica né prorogabile, né lontana. Quindi non possiamo girare la testa. E restare “SENZA TIBET …” riguarda non solo i Tibetani ma il futuro di ciascuno di noi. Compresi i nostri figli e le generazioni a venire. Perché non solo saremo la prossima “preda” ma lo siamo già adesso. Avvelenati da prodotti tossici “Made in China” che si annidano tra i cibi e i farmaci che assumiamo ogni giorno, tra i giocattoli con cui giocano i nostri bambini, tra i vestiti che indossiamo, tra le creme che usiamo per la nostra pelle, tra gli infiniti oggetti tecnologici (o i loro componenti) che popolano la nostra vita. Fino a pochi anni fa trovare un gadget “Made in China” era un’occasione folkloristica. Oggi è praticamente impossibile trovare un oggetto che non lo sia. O perché la marca è direttamente cinese o perché il prodotto è stato, comunque, assemblato in Cina. E non possiamo far finta di non sapere che questo danneggia la nostra economia la quale, essendo di tutti è anche di ciascuno. Come non possiamo ignorare quanti Cinesi hanno perso la vita o la dignità della stessa lavorando in condizioni disumane. Anziani, donne e bambini compresi. Quindi abbiamo, almeno, il potere di fermare questo scempio commerciale. E di acquistare tutte le cose che possiamo, pensando come minimo alla nostra salute, se non proprio a quella degli operai che le hanno prodotte.
E alla fine del nostro “piccolo-grande” impegno assunto per Boicottare il “Made in China”, avremo anche il risultato di aver fatto qualcosa che, indirettamente, tutela il popolo Tibetano, creando un danno al suo oppressore. Che, sommato a tutti gli altri singoli danni congiunti, può essere un danno determinante, di grado superiore … E ancora possiamo organizzare conferenze o eventi culturali nel nostro ambito di pertinenza, per far conoscere la causa tibetana, concordando l’azione con una delle Associazioni che operano da anni in questo settore e che saranno preziose per fornire documentazione, materiali, persone. E possiamo coinvolgere i mass-media locali e nazionali, proponendo loro servizi, interviste, reportage su argomenti tibetani. Firmare le tante petizioni per la causa. Partecipare alle campagne già organizzate o in corso. E possiamo anche compiere un gesto di alto valore simbolico solidale, come quello di esporre la bandiera nazionale tibetana. Vietata in Tibet. Noi che lo possiamo …
6. BIBLIOGRAFIA
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- Tucci G., Le civiltà dell’Oriente, Casini, Roma, 1962
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- Tucci G., Santi e briganti del Tibet ignoto, Hoepli, Milano, 1937
- Verni P., Il Tibet nel cuore, Sperling & Kupfer, Milano, 1998
- Zanello Fabio, Tibet Olocausto. Le Guardie Rosse contro Dio. 1950-1960: la vera storia della distruzione di un popolo nei documenti delle Nazioni Unite, Coniglio Editore, Roma, 2008
6.1. Alcuni Libri del Dalai Lama
- Dalai Lama, The Opening of the Wisdom Eye, The Theosophical Publishing House, Wheaton, Ill. 1972 (ed. italiana, L’ Apertura dell’Occhio della Saggezza, Ubaldini Editore, Roma 1982).
- Dalai Lama, My Land and My People, McGraw-Hill, New York 1962, nuova edizione Potala Corporation, New York 1983 (ed. italiana, La Mia Terra e la mia Gente, Sperling&Kupfer, Milano 1998).
- Dalai Lama, Collected Statements, Interviews & Articles, DIIR Publications, Dharamsala 1986.
- Dalai Lama, Freedom in Exile, Great Britain 1990 (ed. italiana, La Libertà nell’esilio, Frassinelli, Milano 1990).
- Dalai Lama, Cultivating a Daily Meditation, Library of Tibetan Works & Archives, Dharamsala 1991.
- Dalai Lama et al., Mind Science, an East-West Dialogue, Wisdom Publications, Boston 1991 (ed. italiana, La Scienza della mente: un dialogo Oriente-Occidente, Chiara Luce Edizioni, Pomaia 1993).
- Dalai Lama, The Global Community and the Need for Universal Responsability, Library of Tibetan Works & Archives, Dharamsala 1992 (ed. italiana, La Comunità Mondiale e la Necessità di una Responsabilità Universale, Chiara Luce Edizioni, Pomaia 1992).
- Dalai Lama, A Policy of Kindness, Snow Lions Publications, New York 1990.
- Dalai Lama, The Way to Freedom, The Library of Tibet, Usa 1994 (ed. italiana, La via della liberazione, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1996).
- Dalai Lama, The World of Tibetan Buddhism, Wisdom Publications, Boston 1995 (ed. italiana, La Via del Buddhismo tibetano, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1996).
- Dalai Lama, On the Environment, collected statements, DIIR Publications, Dharamsala 1995.
- Dalai Lama, Awakening the Mind, Lightening the Heart, The Library of Tibet, Usa 1995 (ed. italiana, La Mente e il Cuore, Nuova Pratiche editrice, Milano 1997).
- Dalai Lama, Speeches, Statements, Articles, Interviews 1987-1995, DIIR Publications, Dharamsala 1995.
- Dalai Lama, The Good Heart, Wisdom Publications, Boston 1996 (ed. italiana, Incontro con Gesù, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1997).
- Dalai Lama, Saggezza antica e mondo moderno, etiche per il Nuovo Millennio. Sperling & Kupfer, 1999
- Dalai Lama, Una rivoluzione per la pace, Sperling & Kupfer, 2000
- Dalai Lama, Parole dal Cuore, Sperling & Kupfer, 2001
- Dalai lama, I Consigli del Cuore, Mondadori, Milano 2002
- Dalai Lama, L’Arte della Compassione, Sperling & Kupfer, 2003
- Dalai Lama, Il Sutra del Cuore, Sperling & Kupfer, 2003
- Dalai Lama, Daniel Goleman, Emozioni Distruttive, Mondadori, 2003
- Dalai Lama, La Luce della Saggezza, Sperling & Kupfer, 2004
- Dalai Lama, La Mia Terra, la Mia Gente, Sperling & Kupfer, 2009
7. LINK UTILI
7.1. Governo Tibetano in esilio:
- Central Tibetan Administration
- Il sito ufficiale del Governo Tibetano in Esilio
- Sito Ufficiale di S.S. Il Dalai Lama
7.2. Organizzazioni e Network di supporto alla Causa del Tibet:
- Comunità Tibetana in Italia: Onlus fondata il 31/01/2001 dai Tibetani residenti in Italia, dedita a preservare e promuovere l’identità culturale tibetana. Svolge inoltre la funzione di riferimento per i Tibetani residenti in Italia.
- Fundación Casa del Tibet
- France-Tibet: Ampio sito per francofoni, viene aggiornato quotidianamente.
- Tibet-Sites: Notizie e archivio di siti relativi al Tibet
- Free Tibet Campaign: Fondata nel 1987 a Londra.
- Friends of Tibet
- GU-CHU-SUM MOVEMENT OF TIBET
- International Campaign for Tibet: Fondata nel 1988, ha sede a Washington e uffici in Europa, ad Amsterdam, Berlino e Bruxelles.
- International Tibet Network (ITN): coalizione internazionale di ONG creata allo scopo di coordinare strategie e campagne degli associati.
- Lhakar Karpo: Il sito della resistenza popolare tibetana
- Parliamentary Support for Tibet
- Rangzen Alliance: Il sito dell’alleanza per l’indipendenza del Tibet.
- International Tibet Independence Movement: Il sito per l’Indipendenza del Tibet.
- Students for Free Tibet
- The Committee of 100 for Tibet
- The Gere Foundation
- Students for a Free Tibet: Dal 1994
- Students for a Free Tibet India
- Tibet Center for Human Rigths and Democracy: prima ONG tibetana sorta per aiutare i prigionieri politici.
- Tibet Justice Center
- Tibet News Archive
- Tibet On Line: Informazioni e campagne
- Tibetan Center for Human Rights & Democracy
- Tibetan Womens Association: fondata il 12/03/1959 in Tibet, quando mille donne tibetane si riunirono a Lhasa per protestare contro l’occupazione da parte della Cina e molte di loro furono costrette a fuggire in Esilio. Nel 1984 la TWA è stata ufficialmente ripristinata e oggi ha più di 10 mila membri e 38 gruppi diffusi in India, Europa, Nepal, Giappone, Stati Uniti e Canada. Lo scopo è di informare l’opinione pubblica degli abusi compiuti ai danni delle donne tibetane durante l’occupazione cinese. In Italia la TWA è attiva da anni come: Tibetan Woman Association Italia.
- Tibettrouth: con aggiornamenti quotidiani.
- Tibetan Youth Congress: ONG con oltre 30.000 iscritti in tutto il mondo.
- United Nations for a Free Tibet: UNFFT
7.3 Siti di notizie e informazioni
- Phayul: Il miglior riferimento per notizie giornaliere sul Tibet.
- The Tibet Post International
- Tibet Central: Le news pubblicate dai siti Tibetani
- Kundun News: Notizie dall’area himalayana e dalla mongolia.
- The Heritage of Tibet
- Padmanet: La pagina del Buddhismo italiano che elenca siti buddhisti italiani nella tradizione Mahayana Tibetana
7.4. Associazioni, Organismi e Istituti Buddisti in Italia di supporto al Tibet
- Associazione Italia Tibet: Attiva da 25 anni nel impegno politico per la causa del Tibet. E’ un’organizzazione indipendente senza scopo di lucro, legalmente costituita nel 1988 e si propone di sostenere il lavoro del Dalai Lama e del suo governo in esilio, affinché al popolo tibetano venga riconosciuto il diritto all’autodeterminazione e gli siano garantite le fondamentali libertà civili.
- AREF International Onlus (Associazione Rina & Franco Bellaterra International Onlus): attiva dal 2003 a sostegno sociale e politico dei Rifugiati Tibetani. Con progetti attivi di Cooperazione internazionale in India del Sud e del Nord (Sostegno a Distanza, Iniziative Territoriali Locali, ecc.) e azioni di promozione sul territorio Nazionale.
- Associazione Culturale Casa del Tibet
- Associazione Culturale Progetto Asia
- Associazione di Comuni, Provincie, Regioni per il Tibet: L’Associazione si propone di promuovere e coordinare la campagna europea “Una bandiera per uno status di piena autonomia del Tibet”, di sostenere presso gli stati membri dell’Unione Europea la risoluzione del Parlamento Europeo del 6 luglio 2000, e di supportare Dalai Lama e CTA nei confronti della RPC.
- Associazione Laogai Research Foundation Italia Onlus
- Associazione Nitobe
- Associazione Rimè Onlus
- Associazione Tso Pema non profit
- Associazione Asia Onlus
- AZ Aiuto allo Zanskar
- Centro Buddista Giang Chub Bergamo
- Centro di Studi Cenresig Bologna
- Centro Giamzè Roma
- Ghe Pe Ling Milano
- Il Monastero Tibetano di Latina
- ISCOS-CISL link a www.dossiertibet.it: sito della Campagna di Solidarietà al Popolo Tibetano
- Istituto Lama Tsonh Kapa
- Istituto Samantabhadra
- La Casa del Tibet Votigno di Canossa
- Sabsel Thekchok Ling Genova
- SOS Tibet Onlus
- Tara Dewa Onlus
- Tibet House Foundation Italia
7.5. Siti di Campagne internazionali per il Tibet libero
- 2008 FREE TIBET
- ACT FOR TIBET
- INTERNATIONAL CAMPAIGN FOR TIBET
- OLYMPIC WATCH
- TIBET VIGIL
- WORLD TIBET DAY