Cina-Taiwan: intervista a Marco Respinti

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Cina-Taiwan: intervista a Marco Respinti

Per gentile concessione del dott. Marco Respinti si pubblica la sua intervista integrale, rilasciata a Milena Castigli per Interris, altresì visibile al link: https://www.interris.it/la-voce-degli-ultimi/respinti-cina-taiwan-pace-filo-rasioio/

Marco Respinti è giornalista, saggista e collabora con diversi quotidiani e periodici anche online, in Italia e all’estero. Uno dei suoi libri, pubblicato nel 2008, ha per oggetto i diritti umani in Cina. Senior fellow al Russell Kirk Center for Cultural Renewal, un’organizzazione educativa statunitense apartitica e senza fini di lucro che ha sede a Mecosta, nel Michigan, è anche socio fondatore e membro del consiglio direttivo del Center for European Renewal, un’organizzazione educativa paneuropea apartitica e senza fini di lucro che sede a L’Aia, nei Paesi Bassi. È direttore responsabile del Journal of CESNUR e Bitter Winter, e direttore di International Family News.

Come vive la popolazione di Taiwan questo costante “mostrare i muscoli” da parte di Pechino?

“C’è una calma apparente: passeggiando per le strade di Taipei sembra di vivere in un paese assolutamente normale, molto civilizzato e sviluppato. La popolazione dà un’impressione di serenità: basta grattare un pochettino sotto la superficie e parlare con loro per capire che stanno vivendo in maniera molto forte il timore di un’invasione da parte cinese. Vivono inoltre in questa costante tensione accompagnata da un senso di solitudine”.

Perché Taiwan si sente sola?

“Si sente sola e un po’ abbandonata dal resto del mondo perché è riconosciuta solo da un pugno di piccoli Paesi (peraltro poco influenti sullo scacchiere internazionale). Con la sola eccezione dello Stato Vaticano, che è sì piccolo, ma è molto influente”.

Perché così pochi Paesi riconoscono Taiwan?

“Il peso della Cina è così forte che molti Paesi si convincono ad abbandonare Taiwan e a riconoscere la Cina popolare cinese. Per tali motivi i taiwanesi si sentono isolati e abbandonati. Ma non solo dai Paesi piccoli. In questo senso di isolamento e di abbandono pesa il fatto che ci siano Nazioni potenti che non hanno ‘tagliato’ i legami culturali, politici e diplomatici con Taiwan, ma al contempo riconoscono la Cina quale loro interlocutore”.

A quale Nazione si riferisce?

“Mi sto riferendo in particolare agli Stati Uniti che, in più occasioni, si sono detti pronti a difendere Taiwan dalla Cina, ma senza mai specificare come. I taiwanesi percepiscono un’invasione cinese come imminente e si chiedono: come si comporterebbero gli Stati Uniti se questo avvenisse? Quindi, per riassumere, i cittadini vivono facendo sembrare che tutto vada bene ma c’è un grande timore diffuso di un’invasione imminente, e una sensazione di isolamento vero o presunto, che a loro pesa tantissimo”.

C’è libertà religiosa a Taiwan?

“Sì. E’ una delle differenze con la Cina. La libertà religiosa a Taiwan è presente ed ha un valore e quindi va rispettata. Taiwan è alla ricerca di una diplomazia parallela che non sia semplicemente quella del riconoscimento formale, difficile da raggiungere in tempi brevi, visto la supremazia della Cina. Taiwan sta cercando di distaccarsi dai valori di Pechino abbracciando quelli fondamentali dell’Occidente, come la difesa della democrazia, dei diritti umani e appunto della libertà religiosa”.

Perché la Cina vuole Taiwan? E’ un Paese ricco o particolarmente strategico?

“Lo vuole solo per una questione ideologica, un punto d’orgoglio. Xi Jinping ha fatto scrivere nella Costituzione sia del partito che dello Stato che il modello cinese è il migliore e salverà il mondo. Quindi Taiwan è un’eccezione insopportabile, la dimostrazione che esiste una Cina alternativa, democratica, aperta, più libera. Finché Taiwan esiste, allora non è vero quello che dice Xi Jinping, che il modello cinese è il migliore di tutti e l’unico possibile. E quindi va eliminata”.

Pensa che sia possibile che la Cina entri in guerra con Taiwan?

“Sì lo penso possibile perché questo rientra nella geopolitica cinese, e non da oggi. E perché Xi Jinping e il ristrettissimo gruppo di potere che governa oggi la Cina è forte e lo diventa ogni giorno di più. Xi Jinping l’unico ad aver inaugurato il terzo mandato presidenziale dopo essere riuscito a modificare la Costituzione in suo favore: è presidente del partito e della Cina a vita. Quando la Cina dice di essere determinata a mettere fine all’indipendenza di Taiwan, non sta scherzando né enfatizzando: non è un obiettivo retorico, ma probabilmente è intenzionata a farlo”.

Ma se lo facesse, il mondo resterebbe a guardare?

“Questo non lo si può sapere e secondo me è l’unico freno che tiene ancora Xi Jinping dal compiere l’atto finale. Sul piano militare probabilmente ce la farebbe in breve tempo, soprattutto se, come immagino, nessuna potenza straniera dovesse poi scendere in campo a difendere militarmente Taiwan. L’unica strategia che Xi Jinping può adottare ora è quella di convincere il mondo che la ‘presa’ di Taiwan sia solo un’operazione di politica interna poiché Taiwan ‘non è un’altra Cina, ma è semplicemente una provincia cinese’. Non è facile convincere il mondo a crederci, perché la realtà è sotto gli occhi di tutti. Non credo che la Cina commetterebbe mai un errore come quello della Russia, di sottovalutare la reazione Occidentale e del resto del mondo. Ma se dovesse riuscire ad accrescere i propri rapporti industriali, economici e infrastrutturali con un numero di Nazioni sempre maggiore, riuscirebbe a ‘convincere’ della bontà delle proprie azioni molti più Paesi e così potrebbe imporre la propria volontà su Taiwan. Credo, ma questa è una convinzione personale, che il tempo non sia ancora maturo: se la Cina dovesse attaccare Taiwan ora, avrebbe molte Nazioni (in primis gli Usa) contro. E’ questo il motivo principale (e forse l’unico) per cui Taiwan ancora esiste”.