Nuova Via della Seta, l’Italia di Draghi potrebbe abbandonarla

mario draghi e la nuova via della seta

Nuova Via della Seta, l’Italia di Draghi potrebbe abbandonarla

Dal G7 della Cornovaglia è fuoriuscita la possibilità di un netto cambio di passo dell’Italia nella politica estera, soprattutto nei riguardi della Nuova Via della Seta, il mastodontico progetto infrastrutturale cinese. Durante l’incontro del Gruppo dei Sette, infatti, il premier Mario Draghi ha fatto sapere che gli accordi siglati dal primo Governo Conte verranno rivisti.

Nuova Via della Seta, Draghi: “La Cina è un’autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali”

Gli accordi sottoscritti dall’Italia nel marzo 2019 con la Cina, in merito alla Nuova Via della Seta, potrebbero essere presto riesaminati dall’attuale maggioranza di Governo trainata da Mario Draghi. Il Presidente del Consiglio, infatti, ha reso noto che la scelta del Governo Conte I potrebbe essere sostanzialmente revisionata, se non smantellata.

“Per quanto riguarda l’atto specifico, lo esamineremo con attenzione…”, è la promessa fatta dal premier in conferenza stampa al termine del G7 (RaiNews). Al momento l’Italia è l’unico Paese occidentale ad aver stipulato un memorandum con la Cina, e questo in passato ha fatto storcere in naso a diversi alleati, tra cui gli USA dell’ex presidente Trump. Adesso, però, Draghi vorrebbe rimettere mano a questi accordi. “Sulla Cina si è scritto tanto della nostra posizione – ha affermato il premier italiano -, si è parlato di divisioni ma io credo che il comunicato rifletta la posizione non nostra ma quella di tutti, in particolare rispetto alla Cina e alle altre autocrazie”.

“Nessuno disputa il fatto che la Cina abbia diritto ad essere una grande economia come le altre – ha continuato Draghi -. Quello che è stato messo in discussione sono i modi che utilizza, anche con le detenzioni coercitive. È un’autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali, non condivide la stessa visione del mondo delle democrazie”.

Dichiarazioni che sono piaciute molto al Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, che nei giorni del G7 ha promosso l’iniziativa Build Back Better World (B3W), che raccoglie diverse nazioni occidentali (Italia, Francia, Canada, Germania, Giappone e Regno Unito) con lo scopo di creare una competizione economica contro la Cina. Oltretutto le parole del premier Draghi arrivano dopo che il governo ha utilizzato il golden power su un’azienda cinese. Due mesi fa infatti è stata impedita la vendita del 70% di un’azienda italiana del settore dei semiconduttori a una società cinese.

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Nuova Via della Seta: la Cina contro il G7

Insomma, il G7 è diventato un manifesto anti-Cina, soprattutto perché – oltre alla questione della Nuova Via della Seta – sono tornate in auge le richieste di trasparenza in merito all’origine del Coronavirus e sulla questione delle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e a Hong Kong.

Il Paese asiatico sta mal digerendo quanto andato in scena in Cornovaglia, e la conferma arriva dall’Ambasciata cinese: “Il Gruppo dei Sette sfrutta le questioni relative allo Xinjiang per dedicarsi alla manipolazione politica e interferire negli affari interni della Cina, noi ci opponiamo fermamente. I tempi in cui le decisioni erano dettate da un piccolo gruppo di Paesi sono finiti da molto. Noi crediamo che i Paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, poveri o ricchi, siano tutti uguali, e che gli affari del mondo devono essere gestiti attraverso la consultazione tra Paesi” (Open).

Che cos’è la Nuova Via della Seta?

La Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative) è un progetto commerciale e infrastrutturale messo in piedi dalla potenza cinese, sebbene però sono in molti a guardare a questa iniziativa con fare sospetto. Anche perché, nel corso degli ultimi anni, la Cina ha ampliato la propria strategia di politica estera, in particolare sul piano infrastrutturale, grazie ad accordi con numerosi Paesi in giro per il mondo.

Tuttavia sembrerebbe che l’impresa promossa da Xi Jinping stia causando disastri economici e ambientali non indifferenti, soprattutto in America Latina, in Africa e nell’Artico. In aggiunta, le preoccupazioni sono sfociate anche nel dibattito della proprietà intellettuale e nei rischi finanziari che le nazioni corrono per prendere parte a questo colossale progetto cinese. Insomma, ci sono troppe ombre e poche luci.

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Articolo di Angelo Andrea Vegliante

Fonte immagine di copertina: Flickr