Tashi Wangchuk è stato liberato, l’avvocato: “Non so se completamente”

Tashi Wangchuk, PEN America chiede il rilascio del difensore della lingua tibetana aref international onlus

Tashi Wangchuk è stato liberato, l’avvocato: “Non so se completamente”

Tashi Wangchuk è stato finalmente liberato. L’attivista della lingua tibetana è stato rilasciato il 28 gennaio 2021 dopo aver scontato ben 5 anni di carcere. La notizia è arrivata direttamente da Twitter, dove il suo avvocato difensore Liang XiaoJun ha fatto sapere che Tashi “è stato riportato a Yushu dal personale dell’Ufficio di giustizia della contea di Chenduo, provincia del Qinghai, e ora sta tornando a casa della sua seconda sorella. I membri della famiglia hanno detto che era in buona salute”.

Tuttavia, come abbiamo documentato anche in passato, la relazione tra gli avvocati difensori e i propri assistiti è particolarmente difficoltosa. Già quando si trovava in carcere, a Tashi Wangchuk veniva negata la visita dei suoi legali, e tale clima venne persino enfatizzato nello stesso tweet di
Liang XiaoJun: “Non so se è completamente libero, poiché non è riuscito a ottenere la sua foto e non ha potuto contattare direttamente la sua famiglia”.

Il tweet dell’avvocato di Tashi Wangchuk

Chi è Tashi Wangchuk?

Tashi Wangchuk è nato nel 1985 a Kyegudo, nella prefettura autonoma tibetana Yulshul, della provincia del Qinghai. Il suo nome è divenuto noto a livello internazionale per il suo attivismo in favore del Tibet, in particolare per la promozione e la difesa della lingua tibetana nelle scuole. Purtroppo però questa ‘pratica’ è sempre stata ostacolata dal governo cinese, che giudica lo studio del tibetano come prova di sovversione. La goccia che fece traboccare il vaso fu un videoreportage realizzato dallo stesso Tashi Wangchuck assieme al New York Times: il 1° dicembre 2015, infatti, fu pubblicato un video che riprendeva l’attivista mentre viaggiava verso Pechino per promuovere l’importante della lingua tibetana.

Per questo motivo il 27 gennaio 2016 fu arrestato e il 4 gennaio 2018, dopo 2 anni di carcere, il tribunale di Yulshul lo condannò alla reclusione fino al 2021 con l’accusa di diffondere sentimenti separatisti (dai quali Tashi si è sempre dissociato). La questione è divenuta subito di dominio globale, tanto che PEN America, associazione di scrittori e letterati, indirizzò una lettera aperta a Xi Jinping chiedendo il rilascio di Tashi.

La lingua tibetana ostacolata dalla Cina

Tashi Wangchuk è solo la punta di un iceberg molto più profondo, che racconta i limiti imposti dal regime cinese nei confronti della lingua tibetana. In passato abbiamo sottolineato numerosi testimonianze di come il Paese cinese miri a distruggerla definitivamente. Nel 2019 ad esempio la prefettura del Qinghai ne aveva drasticamente ridotto lo studio, permettendola solo nelle classi di prima elementare.

Un processo di dispersione culturale studiato persino da Human Rights Watch che, in un documento dal titolo “China’s ‘Bilingual Education’ Policy in Tibet“, affermò che la politica cinese sta avvantaggiando la scolarizzazione della lingua cinese rispetto a quella tibetana. Infine anche con la graduale diminuzione di contagi da Covid nella Fase 1 della pandemia, la Cina ha portato avanti limitazioni molto forti nei confronti della lingua tibetana, tanto da imporre nuove e stringenti regole come la fusione di scuole tibetane con quelle cinesi.

Articolo di Angelo Andrea Vegliante

Credit foto di copertina: Asia News