Coronavirus in India: viaggio tra diritti umani negati ed encomiabili gesti solidali
Quali conseguenze sta creando il nuovo Coronavirus in India? Diverse e, nella maggior parte dei casi, terribili. Il Paese, infatti, sembra essere protagonista di nuove ondate di diritti umani e sociali non tutelati. Proviamo a riassumere cosa sta succedendo nella nazione asiatica.
Coronavirus in India: come una semplice app fa emergere le violazione dei diritti umani
Basta poco, anche una semplice app per smartphone, per far emergere un tessuto sociale sempre più preda di violazioni consistenti dei diritti umani. È il caso, appunto, del nuovo Coronavirus in India, la cui diffusione ha permesso un incremento di vicende arrivate anche all’opinione pubblica internazionale.
Partiamo dallo strumento: l’applicazione per combattere la diffusione del Coronavirus. In India si chiama Aarogya Setu, ed è stata richiesta dal governo Modi con il compito di contenere il contagio. “Man mano che sempre più persone lo usano, la sua efficacia aumenterà”, ha spiegato lo stesso primo ministro in un discorso alla nazione (The Guardian).
Nel giro di poche ore, 83 milioni di utenti sono entrati nell’applicazione, tra le preoccupazioni generali di un paese noto per non avere particolari leggi in materia di privacy o protezione dati. Molti temono in implicazioni devastanti.
Secondo l’autore indiano Arundhati Roy, “il coronavirus è un dono per gli stati autoritari tra cui l’India. Pre-corona, se fossimo sonnambuli nello stato di sorveglianza, ora staremmo andando nel panico per uno stato di super-sorveglianza”.
Quando la giustizia non c’è: cos’ha provocato il Coronavirus in India
Sempre il The Guardian, ripercorre una situazione abbastanza complessa per il Paese indiano. Sostanzialmente, il Coronavirus ha visto le misure autoritarie del governo locale inasprirsi. Ad esempio, i giornalisti che criticavano l’operato di Modi hanno subito “accuse da parte della polizia”.
Nel frattempo, i meccanismi di giustizia e democrazia vengono “pesantemente erosi”. Da una parte, vediamo le manifestazioni anti-governative bandite, dall’altra i tribunali quasi sospesi.
Ci troviamo di fronte a misure autoritarie che, ad esempio, sono aumentate nella regione del Kashmir. Qui è bastata una settimana per vedere la polizia usare la legge sul terrorismo per “arrestare un gran numero di giornalisti“.
Karuna Nundy, avvocato della corte suprema, ha spiegato che “la scusa della pandemia ha indicato una soglia per giustificare gli arresti ai sensi delle leggi sul terrorismo”. Nello stesso tempo, però, “è anche diventato quasi impossibile ottenere un’udienza in tribunale per determinare se un’azione sia illegale o incostituzionale. L’accesso alla giustizia è estremamente limitato”.
Un lavoro senza tutele: il Coronavirus in India ‘uccide’ il tessuto sociale
Non solo in Italia, ma il Coronavirus in India sta facendo tremare le condizioni lavorative dei cittadini locali. Tra le varie, grande attenzione è riservata all’Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso del Paese che, secondo Avvenire, è preda di “una diffusione incontrollata del Coronavirus” e per “l’esplodere di tensioni sociali sempre latenti”.
Per esempio, recentemente, un’ordinanza del governo locale di Yogi Adityanath (facente parte delle liste politiche di Modi), ha “sospeso per un triennio quasi tutte le tutele sul lavoro delle donne e dei bambini”. Non solo, ha anche congelato “le disposizioni che definiscono il guadagno minimo mensile e i limiti per gli imprenditori di assumere o licenziare senza motivazione”.
Nuovi morti tra gli asceti hindu
E intanto il Coronavirus in India non placa alcune tensioni religiose già ampiamente diffuse ancora prima della pandemia. Come riporta Repubblica, ad esempio, il 28 aprile scorso altri due asceti hindu (55 e 35 anni) sono stati uccisi nel proprio tempio di Bulandshahar.
A quanto si apprende, un uomo locale – accusato di essere l’omicida – avrebbe massacrato con un bastone i due in quanto, giorni prima, lo avrebbero accusato di aver rubato un paio di pinze dal monastero.
“Noi, volontari, sfamiamo i cani randagi”
Nel frattempo, c’è chi prova a farsi notare per scene di encomiabile virtù. Stiamo parlando, ad esempio, di Sanjukta Lal che, ogni giorno, sfama diversi cani randagi.
A causa della quarantena, infatti, i canidi non possono più sfamarsi degli avanzi dei ristoranti. E così, persone come Lal, preparano volontariamente pollo e riso da donare agli amici a 4 zampe. Lei si trova a Puducherry, ma ci sono altre città che raccontano storie simile: persone che nutrono cani, mucche, uccelli e scimmie. Cioè, gli animali tipici che è possibile trovare in giro per strada.
Finora, come racconta il National Geographic, l’Animal Welfare Board of India ha emesso un comunicato prima dell’entrata in vigore del lockdown: dare da mangiare agli animali da compagnia e quelli randagi è un servizio essenziale.
Che si possa ripartire da qui?
Articolo a cura di Angelo Andrea Vegliante